giovedì 29 giugno 2017

DEATH: "INDIVIDUAL THOUGHT PATTERNS" COMPIE 24 ANNI


Difficilmente riesco a trovare termini per definire un gruppo come i Death oltre che "perfetti". La loro tecnica e la loro fantasia sembra quasi superare quelli che sono i limiti compositivi di un qualsiasi gruppo. Dal loro album di debutto Scream Bloody Gore, la maturità del gruppo è andata via via crescendo, raggiungendo il culmine con l'ultimo lavoro intitolato The Sound of Perseverance. La scomparsa prematura del leader Chuck Schuldiner segnò la fine dei Death e creò un terribile vuoto nei cuori dei sui familiari, colleghi e numerosi fan.

Individual Thought Patterns, quinto album del gruppo, venne pubblicato nel giugno del 1993, sotto la Combat Records e affidato alle preziose mani del discografico Scott Burns.
Venendo a conoscenza della collaborazione con Burns si può essere sicuri dell'alta qualità dei suoni e del missaggio, elemento fondamentale nella costruzione di un album.
L'album è devastante e ancora una volta Chuck e soci sono riusciti a sfornare un capolavoro come solo loro sanno fare. Intervalli tra riff pesanti ed aggressivi e parti armoniche memorabili, il tutto condito con assoli magnificamente eseguiti, stacchi chitarristici idilliaci ed il tipico canto gutturale del genio supremo Schuldiner.
L'album parte già in quinta con Overactive Imagination, adrenalina pura sotto forma musicale che mette subito in mostra le abilità dei membri ed il potenziale del disco. Jealousy, uno dei pezzi più belli del disco che può essere definito come un delirio lungo tre minuti e mezzo. Ancora con Trapped in a Corner e The Philosopher, brani maggiormente eseguiti dal vivo e che restano impressi nella mente, assolutamente due pezzi dall'armonia unica (come forse la maggior parte dei pezzi dei Death).
Percepibili sono le raffinate linee di basso di Steve DiGiorgio, uno tra i migliori artisti ancora in circolazione e colui che ha preso parte alla reunion degli ex membri dei Death intitolata Death To All.
La batteria eseguita nell'album è travolgente, perennemente discontinua e contribuisce a creare l'atmosfera ricercata.
Il lavoro delle chitarre di Chuck e Andy LaRocque credo sia il migliore che io abbia mai sentito, e non parlo solo di questo album in particolare. Le chitarre nei vari album dei Death sono il perfetto connubio di distruzione e pace, interi riff violenti seguiti subito dopo da arpeggi in pulito o addirittura in chitarra classica.

Indiscusso lavoro eccellente, da ascoltare dal primo all'ultimo minuto e godere di ogni singola nota. Questi ragazzi sapevano davvero il fatto loro, e lo hanno dimostrato con i loro lasciti, e proprio per questo vanno recuperati tutti, senza esitare.

La copertina di Individual Tought Patterns


lunedì 26 giugno 2017

CIGARETTES AFTER SEX


La copertina di Cigarettes After Sex
Cigarettes After Sex (oltre ad essere foneticamente e concettualmente una cosa fighissima) è il nome di una band e del suo primo album rilasciato poche settimane fa.
Cigarettes After Sex, un nome che ritrovavo continuamente sulle home dei miei social, sui siti di streaming musicale, sulla bocca di alcuni amici, un po' ovunque insomma. Solo che, a parte lasciarmi affascinare dalla figaggine del nome, non avevo mai fatto nulla. Non mi ero mai deciso ad ascoltarli o considerarli, mi sono sempre passati di mente. Fino a quando non ho scoperto del primo album appena uscito e non ho deciso di buttare i miei pensieri al riguardo su questo blog (sta diventando un'abitudine e io ne gioisco!).

Dunque, vado a informarmi sul genere musicale e leggo di tutto: slowcore, dream pop, ambient, shoegaze, un ricettacolo di generi per cui io impazzisco. Allora no, non posso proprio evitare di ascoltare Cigarettes After Sex.
Non parlerò del gruppo in quanto a membri, storia, discografia precedente o altro: voglio solo provare a dire che mi è parso ascoltando le canzoni.
Il disco è permeato in ogni sua nota da quelle atmosfere dreamy e malinconiche che ci si aspetta dai generi citati e dal suo titolo stesso: Cigarettes After Sex, ebbene sì, queste canzoni sono placidamente sensuali e invocano in modo ancestrale la voglia di soddisfare il proprio vizio di fumatori. Ma al di là dell'immaginario che si può legare (propriamente e no) a queste tre parole, il sound del disco, concretamente, è un connubio di indie pop in chiave trasognata e di quelle atmosfere pensose e un po' cupe tanto care agli anni '80. Si può in parte pensare che il processo intrapreso sia lo stesso del cazzutissimo Turn on the bright lights degli Interpol, ma il risultato è ben diverso; i canoni dell'indie rock in quanto genere musicale sono sfumati in Cigarettes After Sex: ciò che il gruppo ha di indie è ormai solo la veste, o forse solo l'abuso recente del termine.
Dunque, uno strato di rarefazione che si lascia canticchiare (pop, è comunque pop) e una band dal sound equilibrato ma con la voce di Greg Gonzalez che non convince - anche se sa sedurre quando vuole. Alcune canzoni, (su tutte Sunsetz, il cui riff di chitarra si fissa in testa e non ne esce più) sono efficaci, affascinanti, evocano la poesia che tanto si vuol trasmettere con le famose tre parole del nome e con l'hype sui social, ma non tutta la tracklist è in grado di farlo.
L'album è nel complesso ascoltabile, può fluire, ma non mi ha appassionato così tanto. Non c'è grossa innovazione, solo un'esasperata coerenza con lo stile che il gruppo si è addossato con le canzoni e la pubblicità.

Fanculo l'hype, allora. I Cigarettes After Sex non sono a mio parere un gruppo valido in maniera proporzionale alla quantità di spam e attesa creatisi attorno al loro nome. Una cosa di cui "soffre" l'ascoltatore - come nel mio caso - ma di cui potrebbe soffrire anche la band stessa.
Magari mi daranno torto molti alternativi, molti nuovi "rockettari", ma io continuo a pensare che il giudizio di ciascuno vale più di qualsiasi trovata mediatica.
E va bene, pensate pure che sono un irrimediabile nostalgico e che i tempi della musica a cui sono legato sono finiti. Ma io sono sportivamente libero di pensare che avete torto.
E ricordatevi di non prendermi troppo sul serio, sono uno qualunque che scrive roba qualunque.
Continuiamo a volerci bene.

sabato 24 giugno 2017

!!!CI AVETE LETTO 10MILA VOLTE!!!



In questi nostri primi mesi di lavoro (o divertimento che dir si voglia) ci avete letto 10mila volte!!!
Un grazie dalla redazione e dal blog tutto per il supporto, con la speranza di crescere sempre di più giorno per giorno con l'aiuto di tutti voi.
Siamo commossi perché non crediamo di meritarcelo.
Grazie mille, o 10000.

venerdì 23 giugno 2017

ALICE IN CHAINS: "DIRT", UN PERPETUO TRIP


Da sinistra: Jerry Cantrell (chitarra), Layne Stayley (voce e chitara), Mike Starr (basso), Sean Kinney (batteria)
A chiusura di questa rubrica sul grunge, vi proponiamo il secondo album degli Alice in Chains. Diciamocelo, chi non ha mai sentito il martellante riff di Theme bones in GTA San Andreas?
Dirt esce nel 1992, periodo in cui i Nirvana erano all'apice e il grunge era ormai uno stile di vita. Durante l'incisione dell'album, il leader della band Layne Staley, personaggio ancora più controverso di Cobain (anche se meno considerato), era dipendente dall'eroina: questa dipendenza risuona nell'album con la sua voce acida e cupa  e con i testi ispirati da continui trip e visioni.
L'album presenta atmosfere cupe e decadenti, ma anche abbastanza psichedeliche: i brani Would?SickmanJunkhead e la stessa Dirt parlano proprio della dipendenza da stupefacenti.

WOULD?
Uno dei brani più conosciuti del disco e in toto della band è dedicato al defunto Andrew Wood, membro della band Mother Love Bone, morto per overdose come in fondo toccherà allo stesso Staley e a molti altri artisti di qualsiasi calibro, dai meno conosciuti ai più celebri. Il brano presenta un andamento ostinato ma malinconico, la voce del chitarrista Cantrell canta la strofa con un timbro sussurrante e scuro e il ritornello è un'esplosione coinvolgente gridata da Layne: pensare che soffriva della stessa dipendenza e che stesse parlando di un amico e collega mentre si ascolta il brano fa venire i brividi. Alla sua morte molte, varie band hanno reinterpretato il brano, dagli Opeth ai Metallica e i Pantera, come accaduto con Black hole sun dei Soundgarden alla morte di Cornell e con svariati brani dei Nirvana alla morte di Kurt.

ROOSTER
Il brano più impegnato e, a nostro avviso, simbolico della band è Rooster, una disperata marcia scritta su un racconto del padre di Cantrell, il quale avrebbe prestato servizio durante la guerra in Vietnam: il testo si presenta come una poesia ermetica e disperata.
"Il gallo" è il nomignolo con cui il padre di Cantrell veniva chiamato in battaglia. Morte, guerra, disperazione (e anche droga) sono le parole chiave del disco.

DOWN IN A HOLE
Il titolo la dice lunga. Al primo ascolto può sembrare una ballad carina che si discosta dal resto dell'album, e invece se ascoltata con i presupposti adeguati si può cogliere perfettamente l'amarezza dell'animo di  Staley e di ciò che gli passava per la testa. Staley parla di sé e si lascia andare ad uno sfogo disperato e cupo sulle parole "Down in a hole, losin' my soul" e su arpeggi alternati tra accordi maggiori che sfociano in accordi minori dall'andamento lento e decadente. Layne, a una certa, si ritira dalle scene dopo la morte per overdose della sua coniuge: ricomparirà impallidito e privo di espressioni per un live unplugged in cui canterà, nonostante il suo stato psico-fisico dilaniato dalla solitudine e dalla disperazione, la versione live più toccante di questo pezzo (forse proprio perché in quel periodo il suo animo era davvero andato perduto?). Staley morirà qualche tempo dopo a causa di un cocktail di farmaci nel suo appartamento, il suo "buco" in cui era caduto.

SICKMAN
Il bipolarismo fatto musica, un'ossessiva alternanza tra parti più rapide e schizofreniche a parti tremendamente lente e cupe, un trip in musica a tutti gli effetti. Un altro brano abbastanza affine alla personalità di Layne Staley, che in questo caso sembra il lupo cattivo che vuole mangiare Cappuccetto Rosso coi suoi schiamazzi malvagi e acuti.

Per ascoltare la voce di Layne nel suo ultimo periodo consigliamo l'ascolto di una delle sue ultime produzioni con il super gruppo composto da membri di Pearl Jam, Screaming Trees e altre band formatasi in clinica, ovvero i Mad Season.

Il disco pare sia stato considerato uno di qulli da ascoltare prima di morire, e io penso proprio lo stesso. Qui il marciume del grunge, mentre Cobain eseguiva i suoi pochi accordi e cantava i suoi testi bizzarri e apparentemente privi di senso, veniva accostato a sonorità heavy metal, anzi, mi azzardo a dire quasi doom/sludge/stoner, generi che in quegli anni andavano di pari passo al grunge per fama e per sviluppo (in fondo i temi non sono poi così diversi).

TopGrunge finisce qui. Tutto questo lo abbiamo fatto in memoria di Chris Cornell, ma vogliamo dedicare questa rubrica anche a Layne Staley e Kurt Cobain, ma anche a quello che fu il leader di un'altra band da tenere in considerazione, ovvero gli Stone Temple Pilots, il cantante Scott Weiland, altra voce simbolica di quel periodo storico.
A noi piace ricordarli sul palco a coinvolgere le folle o in studio a incidere. Che i loro animi turbati possano aver trovato sollievo da qualche parte.
Un funereo ma dovuto R.I.P.

giovedì 22 giugno 2017

LA VERA ESSENZA DELL'UNDERGROUND


Fare musica non è solo un semplice hobby, fare musica non è un semplice passatempo come gli altri. Fare musica è il modo migliore per alleviare lo stress, ed esprimere al meglio la propria creatività. 
Il concetto di riunirsi e tirar fuori le proprie idee e rendere le medesime concrete è un concetto estremamente forte, seppur difficile da spiegare.
Al giorno d'oggi, purtroppo, più si va avanti e meno possibilità vengono offerte agli aspiranti musicisti, specialmente a chi appartiene ad un genere musicale che rientra in quella vasta palude chiamata underground. Probabilmente la colpa non è di nessuno e come possiamo notare le tendenze subiscono un continuo cambiamento, dando attenzione a ciò che va in voga al momento per brevissimo tempo. Basti guardare un qualsiasi artista uscito da un talent, un anno circa (se non meno) di attenzioni e poi la discesa nel profondo abisso del dimenticatoio.
Pur non avendo vissuto tra metà degli anni '80 e l'inizio degli anni '90, rimango affascinato da tutte quelle band emergenti che, dal suonare un genere nuovo e sconosciuto quale il death metal, siano finiti a fare tour di interi continenti a costo di far la fame e tornare a casa con meno soldi di prima. La mia affermata dedizione per questo genere mi ha portato ad osservare e capire come un qualsiasi gruppo oggi noto abbia potuto affermarsi in un contesto difficile.
Vedete, nel lasso di tempo che vi ho sopra citato, molti gruppi sono riusciti a spiccare pur vivendo in un ambiente ostile, dove i produttori si rifiutavano di registrare perché convinti che quel tipo di musica non avrebbe mai preso piede. Alcuni hanno dovuto fare i conti con i tafferugli politici o sociali nei propri paesi. Un esempio lampante sono i Masacre provenienti da Medellin, Colombia, che come saprete in quegli anni stava affrontando un lungo e sanguinolento periodo a causa di Escobar e delle varie guerre tra i cartelli colombiani.
Ad accantonare lo snobismo dei produttori discografici dell'epoca furono i Morrisound Recording, risiedenti a Tampa, Florida. Nei sopra citati studi ebbero vita alcuni dei più importanti album death metal della storia quali Arise dei Sepultura o Leprosy dei Death. Ovviamente la lista è lunga quindi non mi ci soffermo più di tanto, ma sappiate che molti gruppi sono partiti da qui, ed è grazie a Scott Burns, produttore della Morrisound, se le sonorità di quegli album sono perfette.

Bene, abbiamo appurato quanto sia stato difficile emergere per molti, e molti ce l'hanno fatta perchèéera qualcosa di nuovo e mostruosamente divertente. Solo che, alla firma del primo contratto discografico le difficoltà non finivano mica. Partendo dalla sala di registrazione, ai tempi il digitale non esisteva e di conseguenza le attrezzature erano abbastanza spartane seppur funzionanti. Scordatevi dei computer, lì si lavorava su bobine, per cui se c'era un errore bisognava agire direttamente sulla bobina. Ovviamente oggi è tutto più facile, grazie al pc possiamo apportare modifiche al sound in breve tempo, senza contare il fatto che si hanno a disposizione diversi software che rendono le sonorità perfette e prive di errori. O magari la drum machine, in grado di creare suoni immacolati senza appunto l'uso della batteria. Negli studi di allora, andava fatto tutto manualmente, comprese le batterie, e se sgarravi ricominciavi da capo. Rimango dell'idea che il sound di una volta riusciva ad identificare meglio un gruppo, perché riuscivi a percepire il musicista agire sul proprio strumento, riuscendo a dar tono al brano e di conseguenza all'intero album.
Una volta registrato l'album era il momento di partire per terre sconosciute e di diffondere la propria materia, e qui arrivavano i problemi più grandi. Come ho già detto sopra, ogni volta che un gruppo partiva rischiava (e succedeva spesso) di tornare a casa a mani vuote o con addirittura meno soldi della partenza. Questo perché? Ovviamente il cibo, la benzina e le eventuali spese impreviste erano tutte a carico del gruppo, che doveva tirare avanti con i soldi del cachet o con una piccola somma offerta dalla casa discografica. A parte gli inconvenienti tecnici, la vita da tour era fantastica, suonavi in giro per il mondo e conoscevi gente nuova, ma bisognava avere un grande spirito di adattamento, questo perché girare in un van scassato portava a brutte sorprese e spendendo soldi per la benzina ci si ritrovava a digiunare anche per quattro o cinque giorni.
Difficili da sostenere, ma queste esperienze servono a farti crescere sia come persona che come artista, ed è così che la mia stima va a persone che sono partite senza pensarci due volte per realizzare ciò che oggi sono, anche a costo di sottoporre il proprio corpo a dura prova.

Detto ciò, anche se quelli di oggi sono tempi duri, non cedete a questo tipo di pressione, suonate per sfogarvi e non per la fama, tirate fuori i vostri sentimenti predominanti e concretizzateli, ma soprattutto siate umili e non avidi di successo.

Un abbraccio.



lunedì 19 giugno 2017

PUNKREAS: APOLOGIA DELL'ANTIFASCISMO ALLA SAPIENZA


il manifesto dell'ultimo tour dei Punkreas
Vi capita mai di andare a una festa senza sapere come sia? Bene, venerdì sera sono finito per puro caso alla Notte Bianca "Sui generis" dell'Università La Sapienza, senza sapere che vi avrei trovato i Punkreas, storica punk band italiana le cui canzoni sono veri e propri inni contro i fascismi.

All'ingresso sentivo solo raggaeton e techno, ma davanti alla facoltà di lettere e filosofia c'era un terzo palco sul quale un tecnico dalla testa rasata faceva il soundcheck e vicino cui c'erano dei ragazzi con zaino in spalla e birre portate da casa: ebbene, si trattava del soundcheck per i Punkreas.
Sul palco con loro si esibisce anche un membro dei Meganoidi al sax; il concerto è stato un vero e proprio delirio, si pogava sulle note di tutti i loro successi. Il live si è concluso con i due maggiori successi della band, Il vicino e Canapa. Noi del Musichiere eravamo divisi tra i management del dolore post-operatorio a Molfetta e i Punkreas a Roma, e abbiamo avuto la fortuna non solo di finire dietro le quinte, ma un nostro amico, cantante della band salentina Skarlat, è salito sul palco a cantare Canapa con loro.

Era da anni che non si vedevano live simili per pochi spiccioli in una festa all'interno di un'università, dove ho potuto trovare quell'energia e quell'intimità che tanto mancavano.
Era da tanto tempo che non vedevo così poca gente con il telefono in mano, il pubblico era più partecipe del solito rispetto ai canoni degli ultimi tempi, speriamo vivamente in altri mille di concerti così. Una scenografia povera con il minimo indispensabile, ma con poco ci si è divertiti tanto!


domenica 18 giugno 2017

Tutti felici di vivere male con il management del dolore post-operatorio


foto di Giuseppe Cascella photographer
Il management del dolore post-operatorio è impegnato nella fase estiva del "Un incubo stupendo tour". Gli abruzzesi hanno fatto tappa all'Eremo club di Molfetta lo scorso venerdì, e noi c'eravamo: prima fila, bella compagnia, e tanta voglia di vedere dal vivo una di quelle poche realtà musicali italiane che rappresenta qualcosa di vero. Baldoria, euforia e tanto sudore sono stati i maggiori protagonisti dell'evento, una speciale serata di follia resa possibile grazie un grande ed umile gruppo di giovani ragazzi.

Sebbene non abbia particolarmente apprezzato il quarto ed ultimo album della band nella sua interezza (Un incubo stupendo, per l'appunto, e mi sono ricreduto alla grande!), l'entusiasmo era alto: impossibile non aspettarsi divertimento e belle cose dal casinista Luca Romagnoli e dallo spirito rock e cazzuto del gruppo intero sul palco. Luci basse, effetti sonori simili ai rumori di una sala operatoria, la band entra, e siamo tutti gasati (e il locale fa sold-out). Luca Romagnoli e Marco Di Nardo (voce e chitarra, duo compositivo del gruppo), accompagnati da IMURI (Lorenzo Castagna alla chitarra, Antonio Atella al basso e Valerio Pompei alla batteria) ci hanno regalato due ore di adrenalina, sincerità e poesia. Ciò che ha reso questo concerto davvero speciale è l'aver percepito, costantemente, la sublime sensazione di voler far baldoria, tutto grazie ad una lineare performance in cui è stato impossibile captare alcun calo esecutivo. La scaletta ha attraversato tutti i dischi degli abruzzesi, soffermandosi maggiormente sul primo AUFF!! e sul nuovo Un incubo stupendo: due identità diverse, a sentire gli album, ma un'unica anima nei live. Traspare lo spirito immutabile e costante fin dagli esordi del gruppo, quello che vuole divertirsi e divertire, provocare, in sostanza mettere fuori l'interezza del sé. Ogni singolo brano diviene sul palco un inno vitale, un atto comunicativo imprescindibile rafforzato dai testi significativi e dal sound deciso dei musicisti: Il ventoVisto che te ne vai ed Esagerare sempre sono stati indimenticabili, Norman e le classiche Pornobisogno e AUFF!! hanno richiamato l'inevitabile pogo e la mia preferita Amore borghese mi ha portato non so dove (il pezzo è un mistero per me, una cosa che adoro senza capirla e di fatti la canzone d'amore più bella dopo quelle di Tenco).

Gli occhi erano tutti puntati sul frontman: Luca alterna la sua performance tra momenti di casino e adrenalina pura e attimi d'immedesimazione sbalorditiva. "Se siete qui a sentirci è perché avete dei problemi, come tutti noi" dice, e quando canta Il tempo delle cose inutili o Naufragando puoi sentirteli addosso quei problemi, puoi lasciarti andare all'empatia che te li fa scordare ed esorcizzare. È così, si viene a creare quel legame tra artisti e spettatori che solo il carisma sa creare, e tutti diventano uno. Vaffanculo alle paranoie, ai proibizionismi mentali e al papa: al centro di tutto c'è solo il divertimento, il primo passo di quella rivoluzione che forse si può provare a fare (laddove la si intende "non come un atto politico, ma come un atto poetico").
Insomma, un'esperienza preziosa e rara ai tempi di oggi, dove nessuno fa qualcosa perché gli piace o mettendoci la propria faccia per quella che è. Perché no, il management del dolore post-operatorio non ha mai leccato il culo a nessuno.
E per questo, a fine spettacolo, dovevo per forza abbracciare quell'eroe che è Luca Romagnoli, quel talentuoso autore in cui tanto io mi identifico. Una stima infinita per chi, in quest'epoca e in questo paese, ci mette ancora l'anima senza pensare ai soldi, sa voler bene al pubblico e altrettanto ne riceve. Venerdì 16, all'Eremo Club di Molfetta, ci si è sentiti tutti più umani, e al contempo tutti di meno.
Meno per la società e le apparenze, più per la musica e il puro amore.



sabato 17 giugno 2017

COSA C'È DIETRO "NEVERMIND" DEI NIRVANA


Da sinistra: Dave Grohl (batteria), Kurt Cobain (voce e chitarra), Chris Novoselic (basso)
Ci siamo lasciati con un articolo su Ten dei Pearl Jam: ebbene, nella stessa classifica di Rolling Stone sui 500 migliori album, figura al 17esimo posto il secondo lavoro in studio dei Nirvana, provenienti dallo stesso focolare di Seattle come i colleghi Soundgarden e Pearl Jam; li abbiamo citati in diversi contesti ed ora ve ne vogliamo parlare bene nel terzo episodio della nostra rubrica TopGrunge.

Siamo nel 1992, a Seattle il suolo vibra per le vie dei bassifondi grigi e marci della città, il grunge sta prendendo forma grazie a dei ragazzi che, sulle orme di altri artisti, danno vita a un sound se non innovativo di impatto, con ritornelli e cantati melodici tipici del rock più classico e del pop primordiale su una base strumentale tipica del punk più grezzo. Stiamo parlando della band di Kurt Cobain, che diventerà la nuova "rockstar maledetta" al pari di personaggi del calibro di Sid Vicious.
Molti hanno definito i suoni presenti in questo disco come "subacquei", e in effetti è vero: a mio avviso l'atmosfera "abissale" è ottima per delineare la realtà underground dei quartieri di Seattle in cui il movimento grunge ha preso vita. Pochi power chords suonati con una certa violenza intervallati da pochi spazi riservati alla pulizia, un cantato graffiato e delle atmosfere marce sono le caratteristiche di base del genere.
Il disco si apre sulle note di Smells like teen spirit, il brano più famoso della band. Abbiamo un giovanissimo Dave Grohl alla batteria per la prima volta con la band, che dà ancora più fomento alla frenesia del disco, e la voce di Kurt Cobain, così roca e aggressiva, sarà il cuore vibrante dell'album. Il disco contiene svariati brani che hanno segnato generazioni intere, quali Breed, Come as you are e tanti altri che segneranno, nel bene o nel male, la storia della musica cosiddetta alternativa. A Nevermind molti attribuiscono non tanto la paternità del genere, sulla quale ancora si discute, quanto la spinta verso l'alternative rock, in voga ancora oggi: quel che è certo è che è stata sicuramente la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso d'acqua torbida che è il grunge. L'altro elemento di novità a rompere le dissonanze e la violenza del primo album Bleach, oltre alle numerose parti pulite, sono le seconde voci introdotte con l'ingresso del nuovo batterista. Il disco si chiude con Something in the way, ma a quanto pare al momento della distribuzione Kurt si accorge che manca una traccia che verrà introdotta solo nelle ristampe successive: la traccia fantasma Endless, nameless, che partirà dopo 10 minuti di silenzio dalla fine di Something in the way.

I TESTI
Sulla natura dei testi c'è ben poco da dire. A quanto pare Kurt non ha mai dato molta importanza alla stesura e al senso dei testi: Smells like teen spirit, per esempio, nasce da una scritta lasciata sul muro dell'abitazione di Kurt da una sua amica che sosteneva appunto che il cantante puzzasse del deodorante di marca "Teen spirit".
Lo stesso non si può dire del brano Polly, il cui testo proviene da un articolo di giornale in cui c'era scritto di una ragazzina seviziata e violentata. Kurt ha scritto il testo immaginando la vicenda dagli occhi del criminale autore dello scempio.

GRAFICA E COPERTINA
La copertina raffigura un bambino che nuota seguendo un dollaro attaccato a un amo da pesca. Il bambino ritratto è Spencer Elden, che crescendo avrebbe coltivato una passione per un certo tipo di musica e che ha accettato di replicare l'immagine in pubertà ma a genitali coperti. Si discusse molto sulla censura di quell'immagine e Kurt di tutta risposta affermò che solo un pedofilo represso poteva essere infastidito dal pene di un bambino di 3 mesi. Il retro è una scimmia con uno zaino pieno di candelotti di dinamite: quale fosse il senso di questa figura pittoresca resta un enigma. All'interno ci sono abbozzi dei testi riscritti in forma di poesia, c'è anche un collage fatto dallo stesso Kurt con foto di carne cruda e infezioni vaginali all'interno del quale si dovrebbe scorgere un immagine dei Kiss. Tutto questo non può che essere il frutto di una mente controversa come quella di un personaggio come Kurt.

KURT COBAIN E IL CONTESTO STORICO
Consumo di droghe, nottate alcoliche, rock n'roll e vita sregolata sono il palcoscenico sul quale il grunge debutta. La spinta trasmessa da questo disco lo rende il manifesto del genere. Ma chi è stato Kurt Cobain? Parlare di Kurt come un puro cantautore è riduttivo, ciò che più lo ha reso celebre è stata la sua personalità ribelle ma bombardata da costanti tormenti interiori, messi fuori proprio con la sua musica così graffiante. È stato il portavoce di una generazione di bollenti spiriti che è ancora viva e presente nei più giovani: il fascino esercitato non è più quello del rivoluzionario woodstockiano, o dei capelli cotonati e dei colori sgargianti, della rockstar piena di anfibi e pelle fino al collo che allude a intricate storie amorose e avventure sentimentali dalla mattina alla  sera. Le fiamme che escono dalle chitarre non hanno più effetto come negli anni '80, ora è la volta del bel tormentato e delle tematiche introspettive in cui le nuove generazioni tanto si rivedono.
Kurt si è tolto la vita all'età di 27 anni ed è entrato a far parte del club 27 diventando una vera e propria icona. In tutto questo marciume di cui vi parliamo dalla prima tappa di questa rubrica una cosa è certa: Kurt e la sua vita sregolata, così come il Kurt musicista resteranno sempre di moda, e influenzeranno ancora altre centinaia di generazioni.

La copertina di Nevermind

venerdì 16 giugno 2017

RADIOHEAD, IL DONO E LA MAGIA DI FIRENZE



Sono stato anch'io all'Ippodromo del Visarno questo mercoledì. Difficile rendersene conto, ma sì: due giorni fa ho visto i Radiohead dal vivo. Ore ed ore di attesa sul prato del Parco delle Cascine, sotto il sole cocente e in una folla di 50mila persone, per assistere al primo dei due episodi italiani del "A moon shaped pool tour".
In apertura, Jonny Greenwood (chitarrista solista dei Radiohead) si è esibito con i Junun, regalandoci un'ora di musica indiana. Ritmi sinuosi, un divertentissimo Greenwod che si cimenta nel ruolo di bassista, la gente che danza, e il gioco è fatto: tutta l'arena è pronta a sorridere e a scatenarsi. Non regge il confronto il successivo James Blake.

Tocca finalmente ai cinque di Oxford. Sotto una miriade di lucine bianche e argentate, la band prende a suonare la bellissima Daydreaming, il miglior pezzo dell'ultimo album. La serata comincia con una piega emozionante, mozzafiato, incantata. "We are just happy to serve you", canta Thom Yorke e spalanca le braccia verso la folla mandandola in visibilio. La scaletta del concerto ha proposto alcuni degli ultimi brani (Desert Island Disk trascinante come non mai, Ful stop da sballo) e ne ha recuperati molti da OK Computer in occasione del suo ventennale: Airbag, una delle canzoni più belle del mondo, è stata suonata come dal disco, Lucky e Let down hanno fatto cantare tutti, e Paranoid android sarà sempre un cavallo da battaglia, un'arma infallibile che nessuno potrà mai togliere ai Radiohead, nemmeno il tempo. Il gruppo è passato per Kid A (Everything in its right place e Idioteque restano due momenti fondamentali e imprescindibili nei loro show) e ha ripreso alcuni classici risalenti a The bends. Una scaletta intelligente, in grado di conciliare il passato ed il presente della band, l'anima pop e l'ardore sperimentale dei Radiohead. Con una scenografia molto suggestiva ed un Thom Yorke così a suo agio, era impossibile fallire. Il concerto è stato un botto, esteriore ed interiore.

Dopo il primo e consueto bis, il pubblico dell'Ippodromo ha ricevuto un regalo prezioso: un secondo bis. "Va be'" dice Yorke, "ne vuoi ancora?", e poi il gruppo suona un trittico di brani perfetto per la chiusura e per far felici tutti: Lotus flower, Fake plastic trees e Karma police. Nessuno voleva che la magia finisse, e il pubblico ha cantato ancora una volta il ritornello del brano finale accompagnato dal solo Thom Yorke con la chitarra acustica, prima che i cinque sfilassero sparendo dietro le quinte.

Impossibile metabolizzare il tutto o comprenderlo.
Si può solo ringraziare gli infallibili Radiohead. E sentirsi dentro le ossa il dono della musica, la magia di Firenze.

lunedì 12 giugno 2017

IGGY POP, L'ICONA E LA STORIA AL MEDIMEX 2017


fonte immagine: pagina facebook Medimex
Il concerto gratuito di Iggy Pop in Piazza Prefettura a Bari è stato l'evento clou del Medimex 2017 di Bari, il festival musicale internazionale che ha radunato spettatori, artisti e produttori da ogni dove per 4 giorni all'insegna dell'arte. Questo live imperdibile ha chiamato a raccolta (nei momenti in cui l'affluenza era al massimo) circa 80000 persone: Piazza Prefettura era una fiumana di spettatori in attesa dell'intramontabile Iguana del rock. Un cantante storico del suo calibro e la sua prestazione gratuita erano gli ingredienti dell'inevitabile successo della serata: pubblico alle stelle, show da paura, organizzazione e sicurezza impeccabili.

Dopo circa due ore di attesa e tante chiacchiere di musica rock con gente conosciuta in piazza, la leggenda del proto-punk ha invaso la scena: si comincia con la bella e graffiante I wanna be your dog degli Stooges. Io sussulto, e comincia il visibilio della folla.
Di lì in poi, quasi nessun attimo di pausa: il concerto è stato una tirata a base di adrenalina, pezzi storici, e magnetismo iguanesco. Iggy, coi suoi venerandi settant'anni, resta il rocker di sempre: provocatorio, danzereccio, carismatico, casinista. È stato davvero il re del palco: le sue performance vocali ti infiammano anche -e soprattutto- se di anni ne hai quindici, rovescia ancora l'asta del microfono, smanetta con gli amplificatori, muove il bassoventre e mostra il medio ("fuck!" è stato l'intercalare della serata). La scaletta del concerto ha oscillato tra classici del suo repertorio solista The passenger, Lust for life, Mass production (immancabili visto il quarantennale dei suoi lavori del'77) e i pezzi fuori di testa della sua vecchia band, gli Stooges: No fun, 1969, T.V. eye, Real cool time.

Troppe poche parole per descrivere la sensazione che si prova quando si ha davanti (e accanto) un'icona del rock, della musica tutta che mette in mostra senza riguardi o preavvisi tutta la sua grandezza. Iggy è un vecchio che ti fa sentire giovane, tremendamente adolescente ed appassionato. Un frontman trascinante che ha rivoltato Piazza Prefettura regalando a tutti un pezzetto di storia.
Sì, poche parole e poco fiato. Dopo due giorni, è come se sentissi ancora una scarica di elettricità nelle ossa. L'elettricità del rock'n'roll, possa non finire mai!

Il manifesto ufficiale di Medimex 2017

venerdì 9 giugno 2017

TOPGRUNGE: "TEN", LA SVOLTA DI SEATTLE


La copertina estesa di Ten
Abbiamo avviato questa rubrica con Superunknown dei Soundgarden in memoria del defunto Chris Cornell, e oggi noi del Musichiere vogliamo parlarvi dell'opera della band di uno dei più cari amici dello stesso Cornell: Eddie Vedder, con il quale ha collaborato nei Temple of the Dog, e di un album che segue la stessa onda per tematiche e sonorità. Il disco è Ten, album di debutto della band di Seattle Pearl Jam.

Nel pieno della rivoluzione fomentata dai Nirvana, spunta un disco che, pur conservando il marciume e la torbidezza del grunge, contiene suoni e fraseggi più aperti all'esterno, discostati dalle influenze punk tipiche del genere. L'album parte con il botto del brano Once che, ascoltando il disco fino alla fine, sembra la continuazione della delicata Release. I temi trattati nel disco sono quasi analoghi a quelli del successivo Superunknown di cui abbiamo parlato nell'uscita precedente, ovvero depressione, suicidio, solitudine, criminalità.
La sintesi di tutto il disco è in Jeremy, che parla di un ragazzino che si suicida davanti ai suoi compagni di classe in quanto incompreso da tutti, famiglia in primis (probabilmente era un compagno di classe dello stesso Vedder).
Le storie narrate nell'album sono storie di vita quotidiana americana, ed il brano per eccellenza di questo disco è Alive, probabilmente un racconto autobiografico di Eddie Vedder, il quale non ha avuto modo di conoscere bene il suo padre biologico morto prematuramente: il brano, infatti, parla proprio di questo. L'assolo di Alive è a mio avviso uno dei più belli della storia: la chitarra di Mike McCready sembra essere la vera voce narrante della triste vicenda, resa ancor più malinconica dall'uso regolare del pedale cry baby. Il brano presenta sfumature tipiche del rock più classico e tradizionale: non è un caso se le fonti di ispirazione di tutti i membri sono Led Zeppelin, Hendrix, Doors e chi più ne ha più ne metta. 

Il disco è alla portata di tutti, chiunque può ascoltarlo e apprezzarne la magia, una pietra miliare che la rivista Rolling Stone ha inserito in una classifica di 500 dischi tra i migliori della storia. Ascoltare per credere!

martedì 6 giugno 2017

GOMMA, un nome al quale ci dovremo abituare


fonte immagine: pagina facebook dei Gomma
Da parecchio tempo a questa parte, avevo smesso di seguire e addirittura di cercare gruppi o cantanti emergenti della scena italiana. Perché? Perché non lo so, nella maggior parte dei casi ascoltavo due canzoni e m'annoiavo già, rimanevo deluso, insomma. E ho continuato a seguire solo quegli artisti che già conoscevo da qualche tempo e che mi avevano convinto (su tutti Le Strisce o il Management del dolore post-operatorio), tralasciando l'ondata indie pop dell'ultimo anno e ascoltando più i Baustelle che i Cani, o Motta, o boh. L'eccezione sono stati i Gomma. Mesi fa li avevo scoperti, ascoltati distrattamente e quasi dimenticati. Ma una vocina insistente mi ha portato, nelle ultime settimane, ad ascoltare e riascoltare le loro canzoni. Ne ho tratto qualche conclusione, e mi trovo a scriverne.

I Gomma sono nati da circa un anno, non molto di più, e riscuotono già consensi che in un lasso di tempo del genere sono più che invidiabili, soprattutto sei fai rock e vivi in Italia. E soprattutto se l'età media del gruppo è di poco più alta dei vent'anni (Ilaria, la cantante, ne ha 18!). E ancora, soprattutto se l'unica uscita discografica della band dura 21 minuti. Un fenomeno impossibile da ignorare, insomma.
Il quartetto di Caserta (Ilaria alla voce, Giovanni alla chitarra, Matteo al basso e Paolo alla batteria), propone un mood coraggiosamente aspro e graffiante per la scena odierna, un mood sì rockettaro e casinista, ma permeato di un'introspezione in un certo modo malinconia, o per meglio dire, molto molto diretta: la avverti per forza, e capisci che fa la differenza.
Toska, il primo album (o EP, francamente non l'ho capito) dei Gomma pubblicato dalla V4V records, è un concentrato di arrangiamenti spontanei ma intelligenti, dal sapore quasi post-rock, emo-core e, perché no, vagamente psichedelico. Gli strumenti suonano con convinzione, catturano senza essere troppo elaborati, fanno il loro lavoro e penetrano qualsiasi difesa sonora senza che ce ne si accorga. Ilaria recita, urla, canta, in sostanza si esprime con dirompenza. E va a colpo sicuro, non la puoi ignorare. Ha anche i capelli rasati, che danno un aspetto punk alla sua aria da (esiste nel vocabolario?) frontwoman sbarazzina.
I Gomma spaccano già un po', questo è certo, ma in particolare promettono tanto. Hanno tutte le carte in regola per essere il gruppo rock italiano e giovane che manca all'Italia (o forse solo a me), e inoltre hanno già un certo successo, hanno destato parecchio interesse nel giro di un solo anno, e suonano tanto in giro. Pochi, giorni fa, sono stati al MI AMI festival di Milano, e sono tuttora impegnati in una serie di date estive.

Gomma è una realtà che non riesco ad immaginare se non in espansione e crescita, musicalmente e tutto il resto. Quindi sì, ascoltate le loro canzoni, teneteli d'occhio e abituatevi a sentire il loro nome.

La copertina di Toska

venerdì 2 giugno 2017

"SUPERUNKNOWN", L'ORACOLO DI CHRIS CORNELL



In occasione della recente scomparsa di Chris Cornell, abbiamo scelto di aprire questa rubrica sulla musica grunge con Superunknown dei Soundgarden, pur non essendo il primo ad essere stato pubblicato tra i quattro che tratteremo. Innanzi tutto, Superunknown rappresenta, a nostro avviso, una pietra miliare del rock tutto oltre che uno dei manifesti fondamentali del grunge.

Siamo nel 1994, e il movimento grunge è ormai diventato qualcosa di colossale; il disco viene pubblicato circa un mese prima della morte di Kurt Cobain (avvenimento che ha contornato il grunge di altra audience) e si presenta come un gioiellino dalle prime note di Let me drown: il brano immagina un ritorno al grembo materno come invocazione di morte. Il disco continua su questa linea con testi cupi e delicati i cui temi sono appunto la morte, il consumo di droghe, la solitudine, la vendetta e, triste presagio, la depressione e il suicidio. I testi,a detta di Cornell, sono ispirati dagli scritti di Sylvia Plath e costituiscono i temi chiave di quello che è il grunge, marciume e rabbia raccontati dalla forma d'arte della musica che ne addolcisce leggermente il sapore (anche se, letti con una diversa chiave e interpretazione, alludono anche alla vita). La title-track Superunknown si presenta come una moto che sfreccia su una strada rovente, ed è forse il brano più allegro ma non meno bello del disco, quasi una boccata d'ossigeno in un cocktail di oppressione e marciume. La traccia più famosa del disco è Black hole sun, che parla di un sogno, o se vogliamo di un vero e proprio trip (ed effettivamente, ascoltandola viene quasi spontaneo chiudere gli occhi e dare spazio alla più perversa immaginazione) al pari di Head down. Il brano The day I tried to live è invece un tentativo di uscire dalla depressione. E, forse non per pura coincidenza, in chiusura abbiamo il brano Like suicide, e non so quanto la mia tastiera di più possa dire, ma ascoltandolo e leggendo i testi sembra una vera e propria sintesi della vita di Chris, anticipata di 23 anni.

Musicalmente ,con Superunknown i Soundgarden si discostano dalle influenze iniziali: i riff sono più elaborati e onirici. Ogni pezzo ha qualcosa di sperimentale e pare che sia stato volutamente registrato in maniera rapida al fine di farne uscire un  lavoro spontaneo: in ogni brano si puoi sentire qualcosa che ricorda i Beatles, poi i Pink Floyd e da essi alla musica tipicamente orientale con un tocco di metal. I Soundgarden non sono stati gli unici a mischiare al grunge elementi di altri generi musicali e lo hanno reso un genere degno di un'accurata analisi anche tecnica.

In sintesi, un disco completo di psichedelia e potenza da ascoltare a tutti i costi insieme ai "cugini" Nevermind dei Nirvana, Ten dei Pearl Jam, Dirt degli Alice in Chains, e tanti altri di cui parleremo nelle prossime tappe di questa rubrica.