lunedì 27 marzo 2017

L'EREDITÀ DI FRANCO BATTIATO: "LA VOCE DEL PADRONE"


La copertina de "La voce del padrone"
Pochi giorni fa, il 23 marzo, il maestro Franco Battiato ha compiuto 72 anni. Il cantautore è sicuramente una delle figure più versatili ed importanti della musica italiana, coi suoi 31 album in studio all'attivo; eclettico come pochi, sempre colto e raffinato, in grado di regalare prodotti realizzati sempre con perizia e buon gusto.

In tutta la sua discografia e in tutti i suoi cambi di stile (dall'elettronica sperimentale venata di psichedelia degli esordi al pop d'autore della maturità e tanto altro ancora), il lascito più noto ed indimenticabile di Battiato resta a mio parere il suo undicesimo LP, La voce del padrone. Pubblicato nel 1981, è stato (udite, udite!) il primo disco italiano a vendere più di un milione di copie: Battiato divenne un must per qualsiasi italiano in possesso di una tv o di una radio, radicandosi profondamente nella cultura musicale (e non solo) del nostro paese senza più uscirne.
La formula che ha garantito all'album un successo di tale portata è stata la fusione di elementi artistici sofisticati e ricercati con melodie pop da hit ballabili: almeno 3 dei 7 brani contenuti nel disco sono conosciuti da qualsiasi italiano. Battiato articola la tracklist alternando gioielli orecchiabili da classifica a pezzi più lenti e impreziositi (eccezion fatta per la prima canzone, una fusione tra questi due filoni).

La voce del padrone comincia con Summer on a solitary beach, un brano a metà tra sintetizzatori ritmati e attimi di sospensione: ci narra appunto di un'estate trascorsa su una spiaggia solitaria, a sognare l'infinito guardando il mare.
Poi parte la prima hit: Bandiera bianca. Battiato descrive la sua resa di fronte alle ipocrisie e alle falsità del mondo moderno, tra citazioni colte e riferimenti più popolari. Un'emozionante ballata elettronica impreziosita dalla chitarra elettrica con un ritornello a cui è impossibile restare indifferenti. Un vero capolavoro, sotto tutti i punti di vista, dalle liriche agli arrangiamenti. Con Gli uccelli il disco vive il suo momento più raffinato: una meravigliata e meravigliosa descrizione del volo degli uccelli, dai toni più lenti e classicheggianti.
A seguire, l'arcinota Cuccurucucù: poco da dire, un bellissimo pezzo da ballare che si ficca in testa senza volerne uscire, zeppo di citazioni musicali da Mina e Nicola Di Bari ai Beatles e i Rolling Stones. Con Segnali di vita le acque si calmano di nuovo: il brano è pura riflessione introspettiva. Battiato si ferma a riflettere sullo scorrere del tempo osservando le luci e fantasticando sulle "meccaniche celesti".
Ecco che arriva poi l'evergreen Centro di gravità permanente. Indimenticabile brano pop dai versi cervellotici, a cui dà una marcia in più lo strano balletto della videoclip. Dopo la rassegnazione all'incostanza della società odierna, il nostro auspica alla raggiungimento di un centro di gravità permanente/che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose, sulla gente: fare filosofia muovendosi a ritmo di un ritornello pop, ecco l'unicità de La voce del padrone.
In conclusione, Sientimiento nuevo, un inno all'amor carnale condito di riferimenti storico-mitologici,  poetico e libertino al tempo stesso: il degno explicit di un capolavoro.

La voce del padrone è un'opera epocale per la nostra nazione, un successone ottenuto con classe e senza retorica, in soli 31 minuti di LP. Un caso forse unico in tutta la discografia italiana. Nonostante l'album sia forse marginale se si pensa al panorama mondiale (essendo unico sì nello stile, ma non originale e propositivo nelle musiche), per noi è davvero imprescindibile: parte della nostra cultura, obbligatorio sullo scaffale dei dischi di ogni casa italiana.
Per questo lascito immenso, solo una cosa possiamo fare: ringraziare.
Grazie e buon compleanno, Maestro.

venerdì 24 marzo 2017

THE NUMBER OF THE BEAST: BUON COMPLEANNO!



Esattamente due giorni fa, uno dei più memorabili album della storia compie 35 anni di vita, rimembrando a tutti quanto un gruppo possa spingersi in avanti, creando una ricca miscela di armonia e sentimenti che solo gli Iron Maiden possono donarci.

Come una divisione di cavalleria galoppante verso il conflitto, i Maiden tornano all'attacco, il 22 Marzo 1982, dopo il grande successo dei primi due album, per l'appunto Iron Maiden e Killers, dando il via ad una nuova era, quella del prode Bruce Dickinson, una delle migliori voci della galassia, ancora al servizio della Vergine di Ferro. Sin dal suo esordio, si può già notare la strabiliante abilità vocale di Dickinson, guadagnandosi subito la stima dei Maideniani.

Colmo di significati, l'abum viene aperto da un brano intitolato Invaders, la cui storia si rifà all'invasione vichinga ai danni dell'Inghilterra, terra natia del gruppo. A seguire, Children of the Damned, brano basato su un film del 1960 intitolato Il villaggio dei dannati che narra la storia di alcuni bambini dotati di poteri psichici costretti a lottare contro la razza umana. Il terzo brano, dal nome The Prisoner, è ispirato dalla omonima serie TV fantascientifica. Il brano 22, Acacia Avenue è la continua di Charlotte the Harlot, brano presente nel primo album.
Al numero 5, la title track, The Number of the Beast, magnifico pezzo, onnipresente nella scaletta dei concerti della band britannica. Introdotta con un estratto della bibbia narrato da un imitatore dell'attore Vincent Price, il brano parla di un brutto sogno di Steve Harris, fondatore del gruppo.
Il sesto è un altro grande pezzo, pieno di carica e dal ritornello coinvolgente, sto parlando di Run to the Hills, anche questo presente spesso durante i concerti. Questo brano parla dei conflitti tra Inglesi e Nativi d'America durante la colonizzazione degli Stati Uniti.
Il penultimo brano è Gangland, canzone che parla della brutta sensazione di far parte di una gang criminale.
A chiudere in bellezza ci pensa Hallowed Be Thy Name, letteralmente "Sia santificato il tuo nome", preghiera di un condannato a morte che inizialmente teme la falce del cupo mietitore, ma che poi, alla fine, si convince che la vita è solo illusione e che dopo l'esecuzione possa esserci ancora vita. 

A comporre questo straordinario lavoro, oltre che i sopra citati Dickinson e Harris, sono presenti i due chitarristi tutt'ora presenti nella rosa della band: Adrian Smith e Dave Murray, due animali delle sei corde. Alla batteria c'è l'ormai scomparso Clive Burr, presente nei primi due album. 

Come per tutti i lavori degli Iron Maiden, ascoltare quest'album equivale ad affrontare un meraviglioso viaggio all'inferno in stile Dantesco. Tutti gli strumenti si fondono per creare una sonorità difficile da trovare in giro, per non parlare delle abilità dei componenti e del loro carisma presente sul palco. Avendo assistito ad un loro concerto, posso dire che la grinta non manca, anzi, la performance è sorprendente, ed è ciò che rende questo gruppo la perfezione.

The Number of the Beast ha tutti i presupposti per essere definito un capolavoro musicale (forse anche d'arte), e la cosa impressionante è che i Maiden riescono ancora a produrre dischi del genere, basti guardare l'ultimo arrivato The Book of Souls.

Come sempre, vi raccomando di tener sempre accesa la fiamma del metal, e continuare a far vivere gli artisti che non ci sono o non ci saranno per molto. 

Un abbraccio.

La copertina di "The number of the beast"

mercoledì 22 marzo 2017

Primavera, feste all'aperto e mani al cielo: not "Scared to be lonely"!

"Scared to be lonely" (fonte immagine: copertina del video ufficiale https://youtu.be/e2vBLd5Egnk)

Da una primavera appena iniziata e ancora tutta da vivere, le attese sono tante. C'è chi vuole godersi un po' di tempo prima di dedicarsi ad esami, universitari o della maturità, e chi ha voglia di abbracciare i primi sintomi estivi già adesso. Per i più giovani, questa è una stagione meravigliosamente incredibile: arrivano le prime serate nei locali, le prime uscite dell'anno in discoteche all'aperto e anche le feste di ogni tipo organizzate il venerdì o il sabato sera per divertirsi. Ciò che accomuna ogni fattore è come sempre la musica, materia prima del divertimento in situazioni come questa.

Siamo nel periodo del boom delle canzoni da spiaggia, quelle da ballare con gli amici. Singoli che DJ e cantanti vari hanno proposto anche già da qualche settimana ma che solo adesso iniziano a prendere davvero piede con l'avvento della bella stagione. Tra tutti i pezzi di questo genere disponibili su Spotify ce n'è uno che, davvero, riesce a farmi immaginare con le mani al cielo mentre salto dall'euforia della canzone.

"Scared to be lonely" è uno di quei pezzi che ti fa morire dentro dalla voglia di divertirti con il tuo gruppo anche se sei seduto a tavola a fare colazione alle sei del mattino perché devi andare a lavorare. Fa tirar fuori tutta quella voglia di stare scalzo in spiaggia a saltare all'infinito con la tua compagnia, altro che "paura di stare da solo".

Martin Garrix (all'anagrafe Martijn Gerard Garritsen), tra l'altro, è uno che questa sensazione sa trasmetterla più che bene, considerando anche il fatto che è un classe 1996 e il suo pubblico è intorno alla sua stessa fascia d'età. In quanto a sensazioni, basta anche ricordare il pezzo grazie al quale è diventato uno dei DJ più conosciuti al mondo ovvero "Animals".

Eppure, tra quest'ultimo e "Scared to be lonely" ci sono innumerevoli differenze di sound, con il primo dei due che tende tanto all'EDM e il secondo che ne ha uno decisamente meno pesante. Differenze che emergono anche nel testo: rispetto agli inizi, Martin Garrix cerca di trasmettere qualcosa attraverso esso. In quest'ultimo singolo, invita a sostenersi a vicenda nei momenti meno felici, sottolineando che non ci si deve impaurire e pensare di non avere nessuno al proprio fianco. Un testo che può scindere dalla questione amorosa per toccare anche il tasto delle relazione tra amici.

Una canzone che quindi ha l'obiettivo di unire in discoteca, in inglese definita come "club banger", con l'obiettivo stesso di unire anche al di fuori creando relazioni grazie al divertemento. "Scared to be lonely" si presenta alla scena come uno dei possibili pezzi più in voga e suonati della prossima estate tra feste e serate dove non avremo affatto paura di rimanere da soli.

lunedì 20 marzo 2017

CHUCK BERRY: DA UOMO A LEGGENDA




Due soli giorni fa, sabato 18 marzo, si è spenta per sempre la luce di un astro della musica rock: Chuck Berry ci ha lasciato alla veneranda età di 90 anni; un'età che appare comunque prematura alla schiera di musicisti, fan, e appassionati di rock in generale.

L'importanza del mitico chitarrista di colore americano va al di là della comprensione di ognuno di noi: nel corpo di un solo essere umano era racchiuso un incalcolabile pezzo di storia del rock'n'roll. Attivo discograficamente dalla seconda metà degli anni '50, Chuck Berry è stato la prima manifestazione di tante cose: il primo grande chitarrista del rock, il suo primo vero compositore nonché paroliere e, se vogliamo, poeta; il primo musicista nero dell'ambito che ha conquistato un'immensa schiera di ascoltatori bianchi portandoli all'adorazione; il primo a proporre un'originalissima miscela di blues e country nel suo sound; il primo ad adottare la formula paradigmatica della canzone rock di tre minuti con la chitarra elettrica come strumento guida accompagnata dalla sezione ritmica basso-batteria e ad introdurre la rima regolare nei suoi testi. 

La grandezza di questa figura ha segnato indelebilmente la musica anche grazie al fascino esercitato su musicisti di grande spicco venuti dopo di lui: John Lennon, Bob Dylan, Carlos Santana, Keith Richards, il leader dei Grateful Dead Jerry Garcia, e tantissimi altri discepoli. Basti pensare alla famigerata canzone "Johnny B. Goode": ha ricevuto cover tra le più disparate, dai Sex Pistols all'adattamento in chiave reggae con ambientazione giamaicana di Peter Tosh. Un'eredità immensa, insomma. Suo anche l'archetipo della star di colore che canta e suona la chitarra, nutrito negli anni seguenti da figure quali Jimi Hendrix o lo stesso Bob Marley.
Molti definiscono piena di eccessi la vita di Chuck Berry: eccessiva è una parola adatta. Eccessive le innovazioni apportate e poi scolpitesi nella pietra con il succedersi delle generazioni, eccessivo lo splendore della sua personalità originale ed anticonformista, eccessiva la durata nel tempo delle sue canzoni. Eccessivo ma mai abbastanza per i nostri cuori.

Due giorni fa è morto l'uomo, ma ha lasciato il posto alla leggenda. Perché mi piace pensare che l'astro di cui parlavo all'inizio si è spento solo per riaccendersi di una luce più forte e accecante: quella radicata sotto la pelle di qualsiasi persona che è ancora legata alla parola rock, e al concetto di musica che ne deriva.
Non un decesso ma un'elevazione. Dovunque sia Chuck Berry, sarà sempre con lui lo spirito del rock'n'roll.

venerdì 17 marzo 2017

OBITUARY: A LEZIONE DI VENDETTA



Cattivi, grezzi, spaccaossa, gli scapestrati in infradito e pantaloncini originari di Tampa, Florida, sono tornati più forti che mai, con un nuovo album omonimo intitolato, appunto, Obituary.

Ascoltare un loro album è come ricevere un pugno in faccia. Sin dagli albori, gli Obituary hanno saputo distinguersi mettendo nelle loro canzoni quella giusta dose di cattiveria e offrendo al loro target ciò che vuole. 
Il sound di questa nuova uscita non si discosta molto da quello dei precedenti lavori, anzi, prendendo in considerazione gli ultimi album, rimane praticamente invariato; eppure ciò non dà quel senso di fastidio chiamato ripetitività, anche se in qualche brano potreste imbattervi in qualcosa di già sentito. Nulla di compromettente, comunque, dato che lo scopo principale di questi ragazzacci resta trasmettere rabbia. 

La formazione da battaglia comprende, come sempre, John Tardy al microfono, che non si smente affatto e porta le sue performance alle stelle rimanendo aggressivo. Alla batteria, lo storico percussionista del gruppo (e fratello di John) Donald Tardy, un vero pezzo di artiglieria sempre costante nel menare sui tamburi. Alle chitarre, due grandi musicisti: il primo è Kenny Andrews, ex Pain Principle e Azrael. Il secondo chitarrista è Trevor Peres, anche lui presente dagli inizi. Al basso, l'ex Massacre, Death e Six Feet Under, Mr. Terry Butler.

Come già detto sopra, il sound riprende un po' gli ultimi album: riff accattivanti, blast beat continui e decisi, con la voce di Tardy che rappresenta la ciliegina su una torta fatta di odio e rancore.
Il disco si compone di alcuni pezzi veloci, come ad esempio il brano di apertura Brave, o il prematuramente rilasciato Sentence Day, e da altri un po' più lenti come A Lesson in Vengeance: tutti brani che funzionano alla grande. Va evidenziata inoltre una maggiore frequenza di assoli di chitarra, sicuramente affidati all'ultimo arrivato Kenny Andrews.

Che dire, un ottimo disco prodotto da un ottimo gruppo. Come al solito gli Obituary non si smentiscono mai e ci regalano album da brivido: il death metal della Florida tiene ancora la testa alta. Il mio consiglio per voi è di ascoltarlo a fondo e godervelo. Si tratta di un album che merita molto, soprattutto per chi non ha mai smesso di ascoltare i giovani di Tampa (che tanto giovani ormai non sono più). 

Un abbraccio. Horns up.

mercoledì 15 marzo 2017

RECENSIONE: "UN INCUBO STUPENDO"


Dopo un hype persistente creatosi attraverso i social e dopo l'estrazione di quattro singoli ed altrettanti videoclip, il 10 marzo è finalmente uscito il nuovo disco dei Management del dolore post-operatorio, Un incubo stupendo. Parecchio atteso direi, anche dal sottoscritto. La nuova affiliazione del gruppo con la Garrincha
Dischi (etichetta de Lo stato sociale e molti altri) è stata un indizio su cosa aspettarsi una volta arrivato il 10 marzo, così come i singoli apripista ed i loro video: il Management è cambiato. A partire dalla line-up: del quartetto ormai consolidato dal 2012 restano ora solo Luca Romagnoli (voce, testi) e Marco Di Nardo (chitarra, musiche) che hanno reclutato il trio IMURI per gli arrangiamenti, le incisioni ed i live (Lorenzo Castagna alla chitarra, Antonio Atella al basso e Valerio Pompei alla batteria). Questo quarto album si è posto come la svolta sonora che possa finalmente garantire il successo alla band, o quantomeno il successo che hanno tutte le altre "indie" band attive al momento. Ma andiamo con ordine: i singoli pre-disco. Naufragando, uscito a novembre, mi ha spiazzato. Un sound totalmente diverso, una voce dai toni ignoti alle solite urla anti-tutto di Romagnoli, un testo romantico e a tratti classico, un intermezzo strumentale debole: l'ho bocciata. Più o meno lo stesso parere ho avuto per la title-track uscita due mesi dopo: stessa storia sotto altre vesti, un tono più ritmato e melodico, una voce più decisa e un testo meno romantico e più personale, ma comunque d'amore. È andata meglio con Il vento, più catchy e con un testo tipicamente Management ma meno ragionato e provocatorio rispetto al solito. Esagerare sempre, infine, non mi ha convinto per le sue note, ma un testo così sincero e schietto (seppur nella sua semplicità) è una bella vittoria.

L'album oscilla tra pezzi debolucci che non risultano orecchiabili quanto vorrebbero con testi meno ispirati e canzoni che, nonostante non abbiano più le vecchie ambizioni provocatorie o graffianti ma puntano ad essere solo delle belle tracce pop, hanno una loro ragion d'essere musicale che si sposa bene con parole significative e dirette all'altezza del talento Romagnoli. A questa seconda categoria appartengono Visto che te ne vai o anche Ci vuole stile, i brani che ho più apprezzato tra i dieci. Un incubo stupendo ci presenta dunque una nuova incarnazione dei Management del dolore post-operatorio: non più una band esplosiva e trascinante, ambiziosa e rivoluzionaria, ma un gruppo di rock d'autore che cerca di iscriversi nel firmamento della canzone italiana. Di certo una piega un po' spiacevole dopo gli esordi del gruppo (il primo album AUFF!! resta uno dei migliori dischi italiani dal 2010 in poi, unico nel suo stile), ma è forse inevitabile: il mercato incalza, e con gli anni la verve anticonformista delle persone spesso si esaurisce. Ma non me la sento di definirlo un brutto disco: un disco incerto, convincente solo in pochi momenti, ma che comunque riesce ad essere vero il più possibile in un contesto del genere. E poi, si tratta comunque di Luca Romagnoli, un talento raro in questi ultimi anni di musica, un autore capace e originalissimo, una figura che in alcuni momenti ha saputo essere eroica dal mio punto di vista; non posso quindi condannare del tutto un'opera che porti la sua firma.

Il gruppo abruzzese non punta più ad esorcizzare il dolore post-operatorio dell'esistenza, ma si limita a volerlo attutire e contenere: ecco cos'è Un incubo stupendo.

mercoledì 8 marzo 2017

100 SFUMATURE DI CAMOMILLA



A poco più di un mese dalla fine del Palazzina Liberty tour (conclusosi il 14 gennaio al Locomotiv Club di Bologna), L'officina della camomilla è tornata: la Garrincha Dischi ha rilasciato due giorni fa Antologia della cameretta. Trattasi di una prolissa raccolta di demo risalenti a quel periodo di attività della band precedente alla pubblicazione del primo album (2008-2013): tra inediti, cover e versioni precedenti di canzoni già presenti nei dischi della band, le tracce sono ben 100.

Quest'antologia vuole documentare e catalogare tutte quelle registrazioni che De Leo (voce, chitarra, autore e compositore del gruppo) ha accumulato suonando nella sua stanza, solo o con diverse formazioni nel corso del tempo. Nei cinque cd che compongono la raccolta troviamo quasi tutti i pezzi già noti de L'officina (anche ripetuti in più versioni), molti inediti e alcune cover.
Le demo delle canzoni già edite rappresentano nella maggior parte dei casi una mera ripetizione abbastanza stancante delle versioni studio, ma a volte offrono piacevoli alternative ai mix finali: registrazioni piuttosto lontane dal mood inciso sui dischi, meno condizionate dalla veste pop che la band ha assunto nella trilogia Senontipiacefalostesso, più spontanee ed interessanti.
Gli inediti sono permeati perlopiù dai soliti toni adolescenziali e intimisti che hanno caratterizzato il gruppo sino al 2015: testi surreali e quasi del tutto incomprensibili. Le musiche invece sono a tratti interessanti, vedi la tastiera psichedelica di Chicco un calorifero o il delirio di Camomilla power, una fusione avvincente di funk, drum machine ossessiva e parole che esortano al consumo della bevanda del titolo, cantate da una voce femminile intonata a mo' di urlo infantile.
Le cover invece sono tra le più disparate: da Paolo Conte e Battisti a Lo stato Sociale e i Baustelle. Il risultato non è tra i migliori, ma diverte l'ecletticità di De Leo e la sua voglia di cantare e registrare qualsiasi cosa gli passasse in mente.
Nel complesso, Antologia della cameretta è una prolissa sfida alla pazienza dell'ascoltatore. Troppe le tracce, o meglio troppo poche quelle meritevoli in mezzo a un torrente infinito di demo inutili.

In fin dei conti, credo sia stata un'ulteriore furbata della Garrincha per poter pubblicare le canzonette giovanili de L'officina, ben lontane dalla svolta più strumentale ed ermetica che il gruppo ha intrapreso con l'ultimo album Palazzina liberty: magari i discografici hanno capito che De Leo vuole continuare ad autoprodursi e a seguire le sue ambizioni artistiche, ed hanno quindi tentato di mantenere ancora l'immagine iniziale del gruppo per garantirsi gli ascolti che ne derivano. Spero che non esca mai un seguito di questa estenuante antologia e che il nome de L'officina riesca col tempo ad assumere una valenza nuova e più simile agli intenti di De Leo.
Dimentichiamoci dunque di questa raccolta e aspettiamo un nuovo album di inediti con la speranza che esaudisca le floride aspettative che ci offre l'interessante talento del cantante. Bando alle camerette asolescenziali, e lunga vita agli edifici liberty!

lunedì 6 marzo 2017

QUANDO MTV ERA MTV


A volte ci si chiede come una cosa, col passare del tempo, possa aver subito un cambiamento così radicale. Probabilmente una delle risposte più ovvie è che più passano gli anni, più le tendenze appaiono e scompaiono. Giorni fa mi sono imbattuto in una immagine che mi ha fatto riflettere, era una foto che mostrava i vari programmi che venivano regolarmente trasmessi su Mtv a cavallo tra gli anni '90 e i primi 2000: inutile dire che sono stato invaso dai ricordi. 
Erano tutti programmi volgari, sconci, idioti, ma ci divertivano un sacco. Ma ve lo ricordate? Vi ricordate di South Park? Di Beavis and Butthead? Degli idioti ma fenomenali Jackass? Mi viene da piangere a pensarci. 
Il fatto è che qui siamo a metà del danno, perchè Mtv nasce come una radio essenzialmente rock, a ribadirlo anche lo slogan "Ladies and gentleman, rock and roll", con lo sfondo di Neil Armstrong che piazza una bandiera di Mtv sulla luna, cosa c'era di più figo?
Giorno dopo giorno venivano trasmessi gruppi come Def Leppard, Motley Crue, Van Halen, concerti dal vivo di Slipknot, Sepultura, AC/DC e tutti gli altri grandi della musica che ti farebbero gasare mettendo giù anche un solo accordo. 
Oggi cosa ci tocca? Justin Bieber, Rihanna, Justin Timberlake. E' impressionante vedere come questo canale sia stato corroso dal tempo. Se prima potevamo goderci le avventure di quel fattone di Ozzy Osbourne e della sua famiglia di teppisti, ora la nostra eredità si divide in Jersey Shore e Teen Mom.
Da quanto si può evincere, Mtv era una emittente selvaggia, non si faceva scrupoli a pubblicare roba volgare o esplicita. Probabilmente parte del suo declino è dovuto al fatto che ha nel tempo ricevuto diverse minacce di chiusura dai superiori per svariati motivi, come riferimenti satanici o a droga, sesso e armi nei videoclip musicali, costringendo l'emittente a censurare gran parte del materiale rilasciato.
Una grande protesta fu fatta (sempre dai superiori) anche sulla questione razziale, incolpando Mtv di non trasmettere artisti di colore e accusandola naturalmente di razzismo. In seguito questa barriera venne abbattuta con l'inserimento di Michael Jackson ed altri artisti nella playlist del canale. Mtv sulla questione si è sempre difesa, sottolineando che è nato come canale rock, e quindi all'epoca non giravano molti artisti di colore che suonassero il genere.
Con la diffusione del Rap e di conseguenza altri generi più moderni, oggi Music Television è quello che è.

Che dire, Mtv rimarrà comunque nei cuori dei più nostalgici, quelli che passavano le giornate sintonizzati su uno dei migliori canali di intrattenimento a sfondo musicale, e sicuramente lo ricorderemo come tale. Qui è tutto. Un abbraccio.