venerdì 28 aprile 2017

TABULA RASA 2000, pt. 3: ANTENNE VERSO IL PARADISO


La copertina di Lift your skinny fists like antennas to heaven
2000: non l'anno della fine del mondo, ma quello della nascita di un nuovo linguaggio musicale. Tabula Rasa 2000 è il viaggio alla scoperta di questo linguaggio; dopo essere partiti dal Maryland, USA, per poi arrivare in Islanda, oggi torniamo nel continente americano: a Montreal, in Canada, nel fatidico anno 2000 venne rilasciato il secondo album dei Godsped You! Black Emperor.

Lift your skinny fists like antennas to heaven è un doppio cd epocale. Un prodotto di altissimo livello e di intense emozioni uditive realizzato dai Godspeed, mega-gruppo di circa 10 elementi variabili costruito attorno ai perni Efrim Menuck, Mike Moya (chitarre) e Mauro Pezzente (basso). Definire il genere è quasi impossibile: post-rock orchestrale, prog, musica da film, chamber, ambient. Queste ed altre le anime che convivono nelle tracce e che danno al risultato finale la forza della dirompenza.
La struttura del disco è organizzata in suite interamente strumentali da circa 20 minuti, 2 per cd: in totale dunque 4 brani suddivisi in svariate sottotracce. Storm, il primo capitolo di quest'epopea, apre le danze in maniera sontuosa e trascinante. Un crescendo che prende avvio dalle chitarre per poi coinvolgere anche le percussioni e l'orchestra, si acquieta e riprende la marcia fino a riesplodere: i fiati nitriscono, gli archi sottolineano, la batteria coinvolge e le chitarre descrivono. Un inizio che splende e fa capire subito all'ascoltatore l'intensità artistica che permea il disco (per intenderci , qualcosa che ti strega subito, incuoriosendoti ed emozionandoti). L'enfasi pura.

Static inizia invece con toni più oscuri e ambientali, dà spazio ad accenni elettronici. Viene qui usata una tecnica fondamentale nello stile dei Godspeed, quella di registrare voci parlanti o rumori di fondo per costruire il corpo della traccia musicale, impreziosita dagli archi e dalle chitarre. Segue una danza a tu per tu fra il basso e il violino, a cui poi si aggiunge la batteria, man mano sempre più sovrastata dalle distorsioni e dal rumore. Il finale lascia spazio a suoni sospesi e ancora una volta tendenti all'ambient music.

La voce di un uomo che racconta di essersi smarrito in passato a Coney Island introduce Sleep. La chitarra, intensissima e straziante, crea una tensione che si accumula sempre di più con l'ingresso tenue della batteria e della sezione d'archi: ancora una volta, poi, prendono inevitabilmente il sopravvento un rullante da marcia forsennata e le distorsioni liberatorie. La chitarra, sola e nuda, fa dà ponte tra un crescendo e l'altro, per concludere con un motivetto di violino sorretto da una batteria indimenticabile (il momento più "orecchiabile" dell'opera).

Antennas to heaven si destreggia invece tra una voce radiofonica che canta accompagnata da una chitarra folk, un tappeto sonoro inquietante e trasognato lungo svariati minuti, un attacco di rock violento ed improvviso, una sequenza incline alla malinconia da ballata, ed una miriade di suoni puramente sperimentali e contaminati.

Questo disco è qualcosa che racchiude infiniti universi impossibili da descrivere uno per uno. Un caleidoscopio di sensazioni differenti che, mentre cerca una nuova sintassi per la musica suonata, regala al mondo arte pura: la ricerca è essa stessa la meta del viaggio.

Tabula rasa 2000 vi aspetta ancora fra una settimana: l'ultima tappa è in Inghilterra.

mercoledì 26 aprile 2017

EXPOVINILE 2017 BARLETTA


Il manifesto ufficiale dell'ultima edizione della fiera

Il 25 aprile 2017 si è tenuta a Barletta la fiera nazionale del disco, che ogni anno raggruppa centinaia di visitatori da tutta la Puglia e non solo. 
La fiera nasce nel 2012 da un'idea di Alberto Dipalma, proprietario del negozio di dischi Time of Music (anch'esso a Barletta), al fine di raggruppare gli amanti del disco e, perché no, di avvicinare giovani ragazzi a questa passione ormai quasi svanita. In effetti, l'evento ha avuto un responso positivo soprattutto da parte dei più giovani, attratti dalla bellezza della copertina di un disco o dal semplice gesto di sfogliare gli lp dai vari contenitori alla ricerca di un pezzo raro.

Vari sono i rivenditori che si riuniscono per creare un insieme di stand e vendere la loro preziosa merce: il che dà al compratore la possibilità di trovare ciò che sta cercando da tempo. Ovviamente non sono in vendita solo dischi di ordine generale, ma anche veri e propri pezzi da collezione che, come mi è capitato di vedere, arrivano addirittura a costare 600-700 euro. Le prime edizioni dell'Expovinile si sono tenute al centro ricreativo G.O.S., mentre da qualche anno la location è invece la sala congressi dell'Itaca Hotel.

Da qualche anno, si sa, lo hanno detto tutti, il formato vinile è tornato in voga. Questa fiera è il modo migliore per cogliere al volo l'occasione e per alimentarla al tempo stesso: compravendita significa anche condivisione, scambio di informazioni e gusti, fare nuove conoscenze. Un'iniziativa cruciale (come dicevamo sopra) soprattutto per i giovani, che nell'era dello streaming sono lontani anni luce dall'approccio al vinile e dal concetto di musica come aggregazione. Nemmeno noi abbiamo vissuto in prima persona l'era del vinile, dei negozi di dischi e delle riviste musicali: Expovinile ci consente però di farlo per una o due giornate l'anno, e per di più gratis.
Dopo 5 anni di permanenza e di conseguente crescita, la fiera ha catturato proseliti di una certa notorietà: basti pensare a Caparezza, una presenza ormai consueta all'Itaca Hotel, sempre a caccia di vinili del divino gruppo di musica elettronica Kraftwerk. Il senso profondo della manifestazione sta proprio qui: nell'avvicinamento indiscriminato della gente alla cultura e alla compravendita musicale.

Se siete di Barletta o dintorni, vi consigliamo assolutamente di far visita, nelle prossime edizioni, a questa magnifica fiera che, oltre ad offrire una vasta gamma di dischi, riesce a creare quella piacevole atmosfera che si respirava al tempo nei grandi negozi di dischi.

Più che ringraziare non si può fare: Expovinile è un vanto per Barletta, e dunque grazie Alberto Dipalma, grazie venditori di dischi e vinili, grazie musica!

lunedì 24 aprile 2017

ROCKIN'100, LA LEGGENDA PROSEGUE



L'annuncio del prossimo Rockin'1000
fonte immagine: pagina facebook dell'evento

A quasi 2 anni dallo straordinario evento, noi del Musichiere vogliamo concederci alcune righe per parlarvene.
Alcune settimane fa, sulla pagina web ufficiale del Rockin'1000 è stata postata un'immagine sulla quale erano indicate a caratteri cubitali due date e una collocazione geografica, precisamente 28/29 luglio in "Val Veny": questo indizio ci ha lasciati tutti con quella pesante aria da conto in sospeso, ma in attesa di scoprire di cosa si tratta vi parleremo in linea generale del Rockin'1000, da molti considerata "la rock band più numerosa", una famiglia.

Per chi non lo sapesse il Rockin'1000 nasce da un'idea folle di un ragazzo di Cesena di nome Fabio con lo scopo di aggiungere una terza data italiana al tour "Broken leg" della band statunitense Foo Fighters (li conoscete tutti ormai), in quanto le due date di Casalecchio di Reno (BG) e Torino (quest'ultima annullata in seguito all'attentato al Bataclan durante il concerto degli Eagles of Death Metal) fecero sold out in men che non si dica.
E così vengono chiamati a raccordo tutti i musicisti italiani, molti dei quali bambini, per delle audizioni. Il 30 luglio 2015, infatti, esce il video ufficiale di 1000 musicisti tra chitarristi, bassisti, batteristi e cantanti, che eseguono all'unisono il brano "Learn to fly" (mentre scrivo mi viene la pelle d'oca) con un risultato a dir poco divino.
Poco dopo il leader della band Dave Grohl (noto anche per essere stato il batterista dei Nirvana), una delle poche leggende eclettiche del rock ancora in vita, pubblica un video di risposta in cui ringrazia i mille e accetta l'invito, e così si ottenne la data tanto ambita che fu annunciata con un rebus che, una volta risolto, si scoprì essere a un piccolo palasport di Cesena, un concerto per pochi intimi. Mille dei biglietti erano riservati allo staff del Rockin'1000 e gli altri ai pochi fortunati che non riuscirono a prenderli per le date di Casalcchio di Reno e Torino.

Il grande Dave ebbe forza di aggiungere un altro concerto nonostante la sua gamba allora spezzata, e dall'alto del suo "trono di chitarre" si comportò come un amicone per i pochi spettatori, tant'è vero che dopo il concerto si è presentato ad un piccolo after organizzato dagli spettatori in un localino nel quale ha dato il via ad una jam session tra birre e chiacchiere. Ma non finisce qui!
Il primo agosto del 2016 l'evento viene riorganizzato ed esteso ad altri artisti come AC/DC, David Bowie, Rolling Stones, e molti altri. Questa volta si tiene un concerto con nuovi "millini" e il giorno dopo viene pubblicato; vengono eseguiti grandi classici quali Come togheter, Rebel rebel, Bitter sweet simphony (con una marea di violinisti in aggiunta), Born to be wild e tantissimi altri.
Inutile ribadire l'effetto che mi ha fatto e che farebbe a chiunque; non lo si può esprimere a parole.

Molti dicono che il rock è malsano, ma con questo straordinario evento destinato a rimanere alla storia per aver lasciato a bocca aperta anche le famiglie più bigotte, nato dal sogno di un ragazzo comune (il che richiama molto la trama dell'ultimo album dei Foos, Sonic higways), non possono che ricredersi.
Come ho già detto non sarà l'inchiostro di una penna a farvi capire la magia del Rockin'1000, per questo in attesa della nuova rivelazione vi posteremo alcuni video sul (e del) rockin1000, stay tuned!
Il rock non morirà mai.

giovedì 20 aprile 2017

"EINSTEIN": ECCO IL NUOVO SINGOLO DI DAVIDE PETRELLA


fonte immagine: pagina facebook ufficiale di Davide Petrella
Da poche ore è fuori in anteprima esclusiva di Rolling Stone il nuovo singolo di Davide Petrella, Einstein (la diffusione completa è prevista per domani 21 aprile). Ecco finalmente l'attesissimo ritorno del cantautore napoletano leader del gruppo rock Le Strisce: dopo 3 anni dall'ultimo lavoro con la band Hanno paura di guardarci dentro (2014), Petrella è tornato con la prima canzone del suo nuovo progetto solista. Dopo un discreto hype sui social (trailer ed anticipazioni) il video del pezzo è finalmente disponibile. 

Appena saputa la notizia, mi sono fiondato ad ascoltare Einstein. Una folgorazione. Il pezzo è costruito su un perpetuo ed accattivante riff elettronico su cui si librano note di pianoforte e, soprattutto, il cantato di Petrella. L'elemento clou della canzone è sicuramente il testo; il cantautore ha reso noto che Einstein è stata scritta in una notte, in un periodo caotico della sua vita, dopo la notizia della rilevazione delle onde gravitazionali profetizzate da Albert Einstein: il brano non parla di scienza, ma "Vuole celebrare l'intuizione geniale. Qualunque cosa può diventare la chiave per uscire fuori, anche solo per un attimo, dai tuoi problemi, dalle complicazioni della vita che a volte ci sembrano insormontabili". Le parole di Einstein confermano il grande talento di Petrella: emozionanti, sincere, e al contempo semplici, caratteristiche non comuni nei testi delle canzoni. Come diceva il grandissimo Luigi Tenco, "Bastano le parole per fare una grande canzone". 
Pare ci sia meno posto di prima per gli inni sui giovani d'oggi  nei testi di Petrella: ora c'è pura introspezione schietta che arriva dritta al cuore. In questi tre anni di assenza dalle scene, Petrella ha avuto modo di confrontarsi con realtà più grandi di quelle a portata di una indie band, ed è diventato un autore di canzoni richiesto (ha collaborato con Cesare Cremonini, Fedez e J-Ax, Fabri Fibra, Gianna Nannini, Fracesco Renga): il suo nuovo progetto solista è distribuito da una super-major, la Warner Music.

Che dire, la musica in Italia respira. Seguo Le Strisce dal loro ultimo disco e da allora apprezzo enormemente il talento artistico di Petrella come paroliere e vocalist: confesso di amare i suoi testi e di identificarmici sotto tanti aspetti. Ho avuto il piacere di incontrarlo insieme ad Andrea Pasqualini ed Enrico Pizzuti de Le Strisce (tre anni fa a Bari, per la presentazione del loro ultimo album), parlarci e berci un caffè insieme: lo ritengo tra i migliori autori italiani viventi in ambito musicale, e aspetto che esploda in tutta la sua genialità.
Nel frattempo, il ritornello di Einstein invade il mio cervello senza possibilità di fuga.
Trovate qui il video della canzone: 

La copertina di Einstein
fonte immagine: pagina facebook ufficiale di Davide Petrella

mercoledì 19 aprile 2017

MISFITS: 40 ANNI DI HORROR PUNK

Esattamente 40 anni fa, il 18 aprile 1977, nasce a Lodi, New Jersey, un importante gruppo la cui fama rieccheggia ancora oggi. I Misfits sono arrivati ad una importante età, un traguardo difficile da raggiungere, anche se non esente da diverbi e difficoltà di ogni tipo.

Lo stile dei Misfits abbraccia alcuni aspetti del punk e dell'heavy metal, traendo i loro testi da famosi horror B-Movies andando così a favorire la nascita dell'horror punk, genere di cui loro sono i capostipiti. Famosa è anche la presenza sul palcoscenico del gruppo, difatti, i "disadattati" suonavano spesso truccati con il tipico corpse paint e con il devilock, tipica pettinatura inventata da Jerry Only, bassista e attuale cantante del gruppo.   
Forse però un dei simboli più celebri e sicuramente il Crimson Ghost, una creatura simile a un teschio avvolta in un lungo mantello cremisi, diventata poi la mascotte del gruppo.

La musica dei Misfits, come dicevo prima, è molto particolare. I suoni distorti delle chitarre ricordano molto le sonorità di gruppi Heavy/Thrash metal, con in più quella rozzezza che non stona, anzi, rende il tutto più adatto al genere e alle tematiche. La batteria è decisamente attinente all'Hardcore punk, formata da stacchi veloci e adrenalinici. Il cantato è tipico punk rock, caratterizzato da cori in abbondanza e ritornelli memorabili.

Molti sono i loro album, e nel giro della loro carriera si possono notare molte differenze, avendo subito spesso uno stravolgimento di formazione. L'era Danzig è forse quella più cruda, difatti possiamo sentire suoni graffianti di chitarra e forti linee di basso che marcano ancora di più i brani. Inoltre Glenn si ispira ai grandi tenori italiani per produrre la sua voce profonda, rimasta ancora un simbolo dei misfits. I testi erano molto crudi, più espliciti, degni di tematiche horror.
Con il debutto di Michael Graves, i Misfits iniziano la loro seconda era, con Jerry Only al basso, Von Frankenstein alla chitarra e Dr. Chud alle percussioni.
Il cantato di Graves raschia di più, e si sa subito distinguere positivamente, anche se ha avuto dei problemi con la più vecchia audience del gruppo venendo accusato di non usare più quella cruda esplicita violenza. Nonostante tutto, gli album di Michael Graves rimangono i miei preferiti, senza ombra di dubbio due ottimi album.
Dopo l'imminente scioglimento del gruppo e la successiva ripresa, a sostituire Doyle e Dr. Chud, che escono per prendere una pausa dalle scene, vengono reclutati due membri dei Black Flag, Dez Cadena e ROBO (che si alterna con l'ex Ramones Marky Ramone), segno di inizio della terza era del gruppo ancora in corso.

Diversi gruppi hanno affermato che senza i Misfits, probabilmente non sarebbero mai nati. Tra questi gruppi compaiono i Metallica, in particolare Cliff Burton, defunto bassista della band thrash metal che ammirava profondamente il gruppo del New Jersey e che è riuscito a diffondere il suo amore ai suoi compagni.

Inoltre, di recente Glenn Danzig è da poco rientrato nel gruppo per alcuni show in America con la presenza di Doyle Von Frankenstein. Sarebbe bello rivedere il gruppo riunito per indiavolare i palchi in un tour mondiale.

Rispetto infinito per un grande gruppo che, seppur non efficiente come una volta, ci ha lasciato davvero tanto e che probabilmente continuerà il suo cammino.

Qui è tutto, come al solito, un abbraccio.



martedì 18 aprile 2017

TABULA RASA 2000, pt. 2: IL SUONO DELL'EMOZIONE


La copertina di Ágætis byrjun
Prosegue il nostro viaggio alla scoperta delle origini musicali del terzo millennio: dopo essere passata nel Maryland dagli Animal Collective, Tabula Rasa 2000 approda sulle gelide coste dell'Islanda. La musica di questo primo decennio del XI secolo dà spazio a nuove sonorità e tendenze, ma anche ad aree geografiche fino ad allora in secondo piano per la loro scena suonata: ecco infatti che da un'isola piccola e poco popolosa come l'Islanda spunta fuori una delle band più significative della storia, i Sigur Rós.

Quello di cui sto per parlarvi è il loro secondo disco (il primo per il mercato internazionale), uscito in Islanda nel '99 ed arrivato nel resto del mondo l'anno seguente. Ágætis byrjun, "Un buon inizio": il titolo più azzeccato e promettente. Ritengo quest'album un vero capolavoro, un concentrato di sensazioni intense e benefiche, ma c'è dell'altro: si tratta oggettivamente di un prodotto innovativo e molto significativo per la storia della musica contemporanea. Basti pensare al cantante e chitarrista, Jón Þór Birgisson (in arte Jónsi): semicieco che di conseguenza disdegna l'uso del plettro e preferisce l'archetto della viola, cantore che ama il falsetto etereo più che il pulito. La sua presenza trainante è accompagnata in questo lavoro da Kjartan Sveinsson (tastierista poliedrico e talentuoso), Georg Hólm (bassista sempre presente ma mai sovrastante), e Ágúst Ævar Gunnarsson (batterista dal tocco preciso e ponderato): un mix perfetto a cui si aggiunge un'orchestra che eleva la sonorità della band raggiungendo spazi altrimenti inarrivabili. 

Il risultato è un'indefinibile miscela di post-rock orchestrale, dream pop, musica d'ambiente e tanto altro. Dopo una breve intro strumentale, il disco comincia con Svefn-g-englar; qui dentro ci sono tutti gli elementi principali dello stile dei Sigur Rós: la voce trasognata in falsetto, la chitarra corposa e amplificata dall'uso dell'archetto, il basso pulsante e sospeso, le tastiere preziose e la batteria che alternatamente si trattiene ed esplode alternatamente. In Starálfur fa capolino l'orchestra: la sezione d'archi rende il pezzo una dolce ninnananna capace di liberare il cuore dell'ascoltatore; confesso senza paura che più di una volta questa canzone mi ha commosso. Olsen olsen dà invece spazio ai fiati; dopo un'introduzione di basso, la band prende a suonare e Jónsi intona parole ignote ed acute trasportando il pubblico in una dimensione senza tempo e spazio dove c'è posto solo per la dolcezza del suo cantato, poi si ferma e riesplode accompagnata dall'orchestra: descrivere a parole il risultato è impossibile. La title-track regala invece una dimensione acustica, soffusa ed intimista: il quartetto islandese dà prova del suo affiatamento suonando una dolce ballata che sa d'infinito. Continuare a descrivere la musica dei Sigur Rós mi è davvero difficile: bisogna obbligatoriamente ascoltare una pietra miliare di questa levatura, per l'anima e la conoscenza. Nel frattempo, sogno con beatitudine di poter guardare dal vivo questo gruppo immenso in occasione dei miei vent'anni (il 17 ottobre i Sigur Rós suoneranno a Milano).

Tabula Rasa 2000 tornerà tra una settimana, spostandosi di nuovo nel continente americano, per la precisione in Canada. Restate connessi!

I Sigur Rós nella loro formazione attuale
fonte immagine: sito ufficiale del gruppo

giovedì 13 aprile 2017

LIVE REPORT: I SUBLIMINAL FEAR PORTANO LA FIACCOLA DEL SUD NELLA CAPITALE


Una foto della serata al Planet live club
fonte immagine: pagina fb ufficiale dei Subliminal Fear
A distanza di due giorni dal live al planet club di Roma della band barlettana Subliminal Fear, live al quale ho avuto il piacere di assistere, mi concedo alcune righe per parlarvi di questa band che, come poche, emerge nella decadente - ahimè - scena musicale della nostra terra. Il 9 aprile 2017 i nostri Subliminal Fear sono accorsi ad aprire le danze alla band olandese Textures insieme ai Soulline. A distanza di qualche anno dall'uscita del loro ultimo album Escape from Leviathan, disco che vanta la collaborazione con personaggi del calibro di Jon Howard (Threat Signal, Arkea) e altri ancora, i nostri conterranei conquistano la caput mundi con la stessa violenza dei barbari secoli e secoli prima.

IL LIVE
La band è stata chiamata a scaldare le piste agli olandesi Textures. Il silenzio nel locale viene rotto dalle note di Phantoms or drones: con le luci di scena di un colore biancastro elettrico ci siamo ritrovati ingabbiati in una sorta di macchina del tempo diretta al futuro. Molti dei presenti non conoscevano le loro canzoni, ma sui loro volti si poteva facilmente scorgere un velo di stupore. Le pareti scure del locale bombardate dalle luci di scena creavano quell'atmosfera che si accoppiava perfettamente con la loro musica. Il concerto procede con quello che poteva essere paragonato ad uno stato di coma in cui si riesce a vedere cose fuori dal comune, come una sorta di trip oscuro ma al contempo eccitante. Il concerto si chiude con la turbolenta Self proclaimed gods che, ascoltata coi giusti presupposti, fa raggiungere la giusta elevazione per poter spiccare il volo. Insomma, i Textures possono raccontare di aver trovato le piste non scaldate, ma del tutto carbonizzate, e non possono che esserne fieri.

L'ALBUM
Escape from Leviathan è la terza incisione in studio della band. L'album presenta atmosfere distopiche e futuristiche dalle sfumature cupe, ma allo stesso tempo ogni brano è in grado di regalare una carica non indifferente: già dal primo ascolto ci si sente catapultati in Metropolis di  Fritz Lang. I tappeti elettronici fanno da terreno fertile per riff precisi ed efficaci di chitarra. A questo si amalgamano in una perfetta intesa linee vocali pulite e orecchiabili e voci in growl: la sezione ritmica pompa l'armonia come il cuore fa con il sangue... insomma, un mix ben riuscito che rende il tutto un piatto davvero prelibato. Per quanto riguarda il genere musicale (seppur difficile definirlo), è un insieme di elementi deathcore e industrial metal e di tracce del metal più tradizionale. Per capire di cosa si tratta e coglierne l'originalità invitiamo i lettori più serrati ad ascoltarli: non c'è altra soluzione. Per concludere, si può dire che in una terra in cui la musica è messa agli ultimi piani, trascurata, e ridotta al mainstream, i Subliminal Fear riescono a rompere gli schemi della cultura di massa con del materiale che può ben reggere il confronto con molta musica di fama internazionale.
Ascoltare per credere!

La copertina di Escape from Leviathan, il terzo album dei Subliminal Fear

lunedì 10 aprile 2017

TABULA RASA 2000, pt. 1: SPIRITI DAL MARYLAND


La copertina di Spirit they're gone, Spirit they've vanished
Comincia oggi una serie di quattro articoli incentrati su quegli album epocali datati anno 2000 che hanno rappresentato dei nuovi punti di partenza per la musica rock e non solo: alcune pietre miliari, insomma, che hanno gettato le basi del linguaggio musicale del nuovo millennio.

La prima tappa di questa rubrica ci porta nel Maryland, USA: gli atipici Animal Collective (allora chiamati ancora Avey Tare and Panda Bear) pubblicano il loro primo album, Spirit they're gone, Spirit they've vanished, proponendo un'originalissima miscela di neopsichedelia, folk, ed elettronica sperimentale. Il duo originario di Baltimore rilancia la tradizione americana di musica psichedelica (Avey Tare è un grandissimo fan dei Grateful Dead) recuperando atmosfere folk che rimandano alla natura, ai boschi, allo "spirito vitalistico che l'America ha ormai smarrito". Perché, dunque, considerare un lavoro del genere una novità e non un revival? Perché gli Animal Collective introducono nel loro disco d'esordio un uso tutto nuovo del sintetizzatore, un uso rumoroso, straniante e asciutto (un elemento che i Radiohead renderanno il perno del loro sound pochi mesi più avanti, raffinandolo secondo il loro stile): ecco il segnale di un rinnovamento musicale all'alba del nuovo millennio.
Gli Animal Collective ci dimostrano subito il loro intento dalla prima traccia: Spirit they've vanished è caratterizzata da un perenne ronzio elettronico, una sorta di mantra sonoro, su cui Avey Tare intona una nenia davvero efficace. Si tratta di una vera e proprio sfida all'ascolto: il pezzo può infastidire in alcuni tratti, ma al contempo sa rapire a pieno la mente con ogni sua nota. E non è tutto, anzi è solo un assaggio. Perché la terza traccia senza titolo (non veniva nemmeno riportata nelle tracklist della prima edizione del CD) è puramente distruttiva; ecco la rilevanza di quest'opera in relazione all'anno 2000. Dopo cinquant'anni di musica (rock, pop, elettronica o cosa vi pare), rinnovare uno stile diviene impossibile senza imitare: ergo, bisogna rifondarlo demolendolo. In (Untitled) il ronzio elettronico diviene pura distorsione accompagnata da campane cristalline ma anche afasiche, il tutto ripetuto costantemente per 3 minuti. Il divertirsi coi suoni diventa pura sperimentazione e genera un risultato del tutto nuovo ed appassionatamente intraprendente.

Con due autentiche bombe del genere nella tracklist, è inevitabile che l'atmosfera generale del disco si stemperi nei suoi altri episodi: Spirit they're gone... lascia spazio a una psichedelia giocosa e sognante. L'album va avanti tra batterie sornione, bassi danzanti, tastiere leggere e catchy e melodie cantate dai toni puerili della voce di Avey Tare. Densa di suggestioni, l'opera d'esordio degli Animal Collective resta un efficace mix capace di indurre il pubblico verso soffici trance lisergiche scaturite dal processo creativo della band: recuperare vecchie tendenze americane ormai poco valorizzate e reinventarle secondo il proprio stile per approdare all'originalità e all'innovazione pura.
Alla sua uscita, il disco ha accumulato ben pochi proseliti in termini di vendite, è vero, ma è innegabile la sua centralità come punto di partenza per la musica del nuovo millennio: il 2000 comincia ad agosto, con Spirit they're gone, spirit they've vanished.

La prossima meta di questa tabula rasa sarà nelle zone più gelide dell'Europa del nord, dove la musica scalda le anime infreddolite.

lunedì 3 aprile 2017

ANGUS YOUNG: 62 ANNI DI PURO HARD ROCK


Il Musichiere torna in questa settimana con un altro compleanno, ma questa volta non di una album, bensì di una leggenda del rock, un'autentica leggenda del rock, un piccolo grande uomo che ha fatto da scuola a tutti i gruppi postumi, seguendo la linea e lo stile dell'ormai appena defunto Chuck Berry.
Signore e signori, come avrete già capito dal titolo, il beniamino scozzese Angus Young ieri, 31 Marzo 2017, ha compiuto 62 anni.
Cofondatore di un dei gruppi più influenti della storia del rock, Angus ha saputo conquistare la stima di milioni di persone grazie alla sua abilità chitarristica e al suo innato carisma che sa sguinzagliare al meglio durante le sue performance.

Nato a Glasgow, egli mostra sin dall'età di 5 anni l'interesse per la chitarra, trasferitogli da suo fratello Malcolm. Quello che era semplice interesse si trasformò in talento, che seppe sfruttare sino ad esibirsi dal vivo e a fondare insieme a suo fratello gli AC/DC: per questo gli rendiamo un immenso grazie. Come si può notare già da un primo ascolto, Angus si rifà molto al personaggio di Chuck Berry, prendendo spunto sia da accompagnamenti che da assoli, trasformando il tutto da rock n' roll ad hard rock, creando un lavoro di adrenalina pura. Dal padre del rock Angus non eredita solo la componente chitarristica, ma anche il famoso "duck walk", celebre passo ormai diventato un'icona per lo scolaretto indiavolato.

Nel 2003 entra, insieme al resto degli AC/DC, nella Rock and Roll Hall of Fame nella famosa cerimonia di Cleveland, e inoltre, nel 2011, com'è giusto che sia, entra nella classifica dei cento chitarristi migliori al mondo secondo Rolling Stone ottenendo il 24° posto.

Si sa, 62 anni sono un'età importante, soprattutto per i ritmi di una rockstar tra studio e tour tutto l'anno, ma avendo assistito ad un concerto degli AC/DC posso dirvi che Angus non ha perso neanche un po' la sua grinta. La performance è stata spettacolare, le coreografie magnifiche e i suoi assoli da capogiro (ha fatto una roba come un quarto d'ora di assolo prima di iniziare Highway to Hell), ovviamente nulla da togliere al resto del gruppo.

Che dire, un mito assoluto che continua a darci del sano rock n' roll e che si spera continui così per molto tempo, abbattendo le intemperie che si presentano col passare degli anni, hard as a rock!

Un abbraccio.