lunedì 19 dicembre 2016

POP ALWAYS WINS





Si possono ricercare mille tipi di ascolto diversi nella musica, dai generi più complessi a quelli più pesanti o più trasognati, ma io credo che la formula vincente sarà sempre quella del pop (laddove per pop si intende pop, non dance o addirittura musica commerciale odierna con pretese tutt'altro che artistiche).
Il pop ha quella giusta armonia nei suoni e nelle atmosfere che fa bene alle orecchie più di qualsiasi altra musica: non richiede un eccessivo impegno all'ascolto, ma si impegna a far sì che esso sia piacevole per il pubblico. Non dico che non esistono altri generi in grado di compiacere l'ascoltatore, dico che il pop sa farlo in una maniera gratuita e spontanea che difficilmente si riscontra altrove.
Il mio discorso può essere difettoso e di parte (il mio gruppo musicale preferito in assoluto è l'incarnazione del pop: i Beatles), ma sfido chiunque a negare che pezzi pop stranoti come "Here comes the sun" dei sopracitati, o "Wouldn't it be nice" dei contemporanei Beach Boys siano capolavori che piacciono a tutti. E che dire dell'album d'esordio degli Stone Roses, gruppo importantissimo nel britpop, o ancora il mastodontico "69 love songs" dei Magnetic Fields (giusto per citare qualche nome tra i tanti)?
E per accontentare chi vuole intendersene di musica, il pop ha innegabilmente raggiunto vertici artistici molto elevati: basti pensare all'LP "Sg.t Pepper's lonely hearts club band", capolavoro dei Beatles e opera che ha difatti reso il pop una forma d'espressione colta al pari della musica classica o del jazz, o al synth-pop elettronico dei Kraftwerk ("Trans-europe express", o "The man-machine"), gruppo fondamentale che ha dato alla musica elettronica (sino ad allora un genere piuttosto complesso e sperimentale) un volto pop universale.
E poi, ad esser franchi, quale musica colpisce ed unisce di più di una comprensibile da tutti e che mira ad evocare sensazioni leggere e tendenzialmente positive nell'animo di chi ascolta? Si tratta di un'armonia sonora che diventa anche somatica o quantomeno psicologica, di una immediatezza evocativa quanto un architettura sonora di musica classica, di una benefica aria di universalità.
Se non ci credete, provate:
The Beatles - Getting better
Beach Boys - Wouldn't it be nice
Kraftwerk - Europe endless
The stone roses - Waterfall
The magnetic fields - Absolutely cuckoo

venerdì 16 dicembre 2016

RECENSIONE: KILL 'EM ALL DEI METALLICA TRACK BY TRACK

Correva l'anno 1983, la scena thrash metal era in pieno fermento ed iniziavano a spiccare gruppi come Anthrax e Slayer.

In quel particolare anno vide la luce un album destinato a diventare un cult del metal non chè fonte di ispirazione per gruppi all'epoca emergenti.
Line-up formata da James Hetfield, Lars Ulrich, Dave Mustaine (futuro fondatore dei Megadeth) e Ron McGovney. Dave e Ron verranno successivamente sostituiti dal chitarrista Kirk Hammett e dal bassista Cliff Burton per le registrazioni del disco.

Il disco si apre con il pezzo Hit The Lights, caratterizzato da un ritmo secco e veloce per il quale non si può fare a meno di rompere qualsiasi cosa a suon di headbanging e di cantare il ritornello a squarciagola.
Non mancano, come in tutto l'album, assoli energici e riff accompagnati dalla tipica voce graffiante di James.
Segue la traccia The Four Horsemen, uno dei pezzi più significativi dell'album, con un riff ben più impostato ed un mix di assoli che si sposano benissimo con l'integrità del brano.
Con uno stacco di batteria Lars attacca Motorbreath, terzo pezzo dell'album, che segue la stessa linea dei primi due pur riuscendo a distinguersi nella sua sonorità. Arriva come quarto brano Jump In The Fire, indiscutibilmente uno dei pezzi migliori dell'album, caratterizzato da un riff e da un ritornello indimenticabili che fanno intendere quanto i quattro tipi di Los Angeles avessero voglia di  far baldoria e di spaccare il mondo.Il quinto brano è un assolo eseguito dal Jimi Hendrix del basso: Clifford Lee Burton. Il pezzo si intitola (Anesthesia) Pulling Teeth ed è costituito da un'armonia unica dovuta alla capacità compositiva di Cliff e alla distorsione del suo basso. Dopo la quiete, torna la tempesta. Il sesto brano si intitola Whiplash e descrive ciò che si prova durante l'headbanging: il pezzo presenta quella velocità e quel senso di adrenalina che ti spingono nel gesto.Al numero sette abbiamo Phantom Lord, con parti distorte e decise che si alternano a parti pulite: un miscuglio perfetto.Di seguito si va alla carica con No Remorse, un altro pezzone di questo disco che si apre con un mega assolo e continua con una determinazione accattivante per tutto il resto del brano.A seguire: Seek And Destroy. Questo pezzo è sicuramente una tra i più memorabili della storia dei Metallica. Strutturalmente si presenta abbastanza semplice, con Cliff Burton che regala un solido supporto ai riff di James e Kirk.A chiudere l'album ci pensa il brano Metal Militia, e lo fa nel migliore dei modi. Riff elettrizzante e grezzo che travolge come un uragano chi apprezza il thrash metal di vecchia guardia.

Kill 'Em All è una pietra miliare del metal. Un album che ogni Metalhead dovrebbe avere perché fonda le basi di un genere dalle sonorità spinte e che ha avvicinato centinaia di migliaia di persone a concretizzare la propria rabbia adolescenziale battendo sugli strumenti come se non ci fosse un domani.

mercoledì 14 dicembre 2016

INTERVISTA AL RAPPER BARLETTANO McTOWER





D: Da quanto rappi?
R: Rappo da 11 anni (precisamente il 13 luglio del 2005). Sono sempre stato legato alla musica: da piccolo suonavo la batteria. Il mio primo approccio vero e proprio con la musica è stato come batterista in un gruppo punk. Successivamente sono passato in gruppo blues, dove per la mancanza di
una batteria mia, ho iniziato a cantare alcuni testi scritti dal mio maestro di quel tempo. Di lì a poco ho cominciato a scrivere testi miei e ho notato che mi risultava più semplice scrivere in rima, quasi a mo' di filastrocca. Le prime esperienze con l'hip hop sono arrivate dopo qualche tempo grazie all'influenza del liceo classico (come punto di ritrovo, io non ero uno studente di quella scuola): erano i tempi di Fabri Fibra, Bassi Maestro e Mondo Marcio (in quel periodo qui a Barletta si incontravano rapper, writer, beatboxer etc.). Quell'aria non poteva non lasciare affascinato un appassionato di musica, e così iniziai con il freestyle.

D: Hai mai fatto altre discipline oltre l'MCing?
R: Tempo fa ho praticato per un po' di tempo il B-boying, poi sono passato al writing con lo pseudonimo di "Phantom". Ai primi contatti con questa disciplina ho avuto una brutta esperienza: in quel periodo nel mondo hip hop girava lo stereotipo del gangster e per una scritta fatta sul
muro sbagliato mi sono ritrovato in una rissa finita con una coltellata alla gamba, ma questo non mi ha demotivato e continuo tuttora.

D: Come progetti la realizzazione di un pezzo?
R: Quando ricevo i giusti stimoli li sfrutto per estrapolarne un tema, li frammento in concetti esprimibili e li butto su carta; penso sempre all'interezza del pezzo, e lo compongo. Considero ogni pezzo un tributo e una forma di sperimentazione.

D: Cosa ne pensi della situazione musicale italiana e di questo forte cambiamento nel rap?
R: Chi pensa che la trap sia la rovina dell'hip hop non capisce nulla. L'hip hop ha vissuto tante fasi e sottogeneri; ad esempio ai miei tempi il "cancro" dell'hip hop era il reggaeton alla Sean Paul, o alla Papi Chulo. L'hip hop è un genere molto facile da approcciare e da incrociare con altre forme musicali: fare i puristi non serve a niente, studiare e comprendere questa cultura in tutte le sue forme resta la chiave.

D: Quali sono i tuoi artisti preferiti?
R: Alcune delle mie preferenze sono molto distanti dall'hip hop: The Protomen, i Sonata Artica, i Tool, Paganini e B. B. King. Nell'hip hop invece i miei artisti preferiti sono Rancore, Hyst, Snak the Ripper, Jedi Mind Tricks e i Colle der fomento.

D: Da chi o cosa trai ispirazione per i tuoi dischi?
R: Ho avuto molte ispirazioni e ogni mio disco ha ispirazioni e messaggi differenti, i più vecchi con testi più ironici e i più recenti con concetti più complessi. Nel primo disco ("713") le ispirazioni erano Huga Flame, Jesto, Hyst, Saga, Colle der fomento, DMX e Xzibit. Nel mio "periodo politico" ho scritto il secondo disco più maturo, "World in my eyes". Sono stato ispirato da studi autodidatti di filosofia e psicologia (Jung, Schopenauer). "-sion", il disco che sto per completare, è ispirato a Lovercraft, Stefano Benni, Nietzche, The Protomen e dalla letteratura fantasy e di fantascienza in generale.

"-sion", l'ultimo lavoro di McTower, è un concept album nel quale i titoli hanno in comune il suffisso "-sion". Le collaborazioni non sono ancora pubbliche, tranne alcune fin troppo ovvie come ad esempio quella con il produttore dei suoi primi dischi Nicola Monopoli, che lo ha aiutato in quest'ultimo disco come tecnico del suono, e quelle con Maks, Soul2, M liar, Saito(3k). "-sion" è la storia di un megalomane che aspira a conquistare il mondo e che mentre tenta di realizzare la sua ambizione scopre la verità dietro l'illusione che viviamo, dietro la stessa realtà in una saga che mescola epico, biblico e metafisico.

martedì 13 dicembre 2016

"BE HAPPY, BE DJEMBE"



Prima di cominciare con articoli più “canonici” (recensioni, interviste, ecc…), sentivo il bisogno di scriverne uno a scazzo (BEEP), uno che parlasse della mia fissa più grande in fatto di musica: le percussioni. In quanto percussionista (molto dilettante) io stesso, credo di poter parlare della bellezza sconfinata della musica ritmica, quella suonata solo con strumenti percussivi. Si tratta di un qualcosa di davvero primordiale: credo sia la prima forma di musica mai esistita (insieme al canto). La fascinazione di questa espressione musicale deriva dal fatto che è estremamente libera e spontanea: una sessione nasce e si sviluppa sul momento, ed è difficile prestabilirla (a meno che non si è professionisti), è molto influenzata dall’armonia che c’è fra chi suona e chi ascolta, o tra i suonatori stessi ed è soprattutto sfogo puro, più di qualsiasi altro strumento. Attenzione, non perché gli altri strumenti siano da meno, ma perché una percussione è uno strumento molto più accessibile a chi non sa suonare, a differenza per esempio di una chitarra o di un pianoforte: chiunque può costruire un ritmo (anche il più basilare) dopo alcuni minuti di pratica, ma solo pochi sanno fare lo stesso con un accordo.



La connessione che c’è tra gli ensemble percussivi e gli spazi aperti è fondamentale: la musica ritmica ha bisogno di uno spazio aperto per essere ben apprezzata, soprattutto se gli strumentisti non sono pochi e se suonano ritmi stratificati e intricati. Sto parlando dunque di un richiamo alla natura, di una pulsione primitiva da cui scaturisce il ritmo (e di conseguenza anche il ballo in molti casi), insomma di una terapia intensiva volta a stimolare il buonumore. Non è l’isolato parere di un ritmofilo che scrive in un blog: anche due autorità della musica moderna occidentale hanno subito la fascinazione dei ritmi africani e hanno inciso ben due dischi influenzati da tale fascinazione. Stiamo parlando di Brian Eno e David Byrne, il creatore della musica ambient che ha collaborato più volte con David Bowie ed il leader dei Talking Heads (“Psycho killer” la conoscete tutti, dai). “My life in the bush of ghosts”, disco registrato nel '79 dai due appena menzionati, è la sperimentalissima fusione della musica ritmica africana e di quella occidentale suonata in elettrico (senza cantarla, ma campionando le più disparate fonti vocali, da un’omelia islamica alle urla di un ospite di un talk-show televisivo). L'anno successivo i Talking Heads (la band di David Byrne) incidono “Remain in light” con la collaborazione di Brian Eno per l’appunto; è la versione pop di “My life in the bush of ghosts”: rock music e percussioni, con il cantato di Byrne.
Non si può non ammettere, in sostanza, che la musica percussiva è parte della nostra cultura (anche se è nata prima della nostra stessa cultura): il ritmo, la percussione, è la radice della musica, come il battito cardiaco è il motore della nostra vita.

P.S.: Non disprezzate gli africani o i fricchettoni che tamburellano per strada, è arte anche quella!

lunedì 12 dicembre 2016

CHI SIAMO



Il Musichiere è scrivere di musica, qualsiasi cosa essa implichi.

Il Musichiere è promuovere band locali, eventi locali e concerti occasionali. E' recensire, dare pareri, conversare, condividere, consigliare.

Il Musichiere è un modesto parere di modesti redattori e mette in chiaro che parla per sé e non crede di essere il Vangelo. Per questo accetta ogni tipo di feedback e ama le critiche costruttive.
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