lunedì 27 febbraio 2017

LUIGI TENCO: PIÙ DI UN CANTAUTORE



Luigi Tenco è un personaggio autorevole e oserei dire leggendario nella musica, soprattutto quella italiana. Una figura dibattuta, misteriosa, a tratti scabrosa e dalla morte poco chiara. Ma al di là delle tante opinioni e voci sulla sua vita e ancor più sulla sua fine, vorrei soffermarmi su Tenco in quanto artista cercando di far capire perché lo ritengo il nostro più grande e sottovalutato cantautore.

Innanzi tutto, ciò che più è innegabile a proposito di questa personalità musicale è la sua importanza storica: Tenco scriveva e cantava di cose serie prima di altri, quando chi gli stava attorno faceva successo con prodotti di levatura contenutistica di gran lunga inferiore. Lo stesso De André, il cantautore forse più popolare e osannato in Italia, non sarebbe esistito o quantomeno non avrebbe avuto lo slancio che ha avuto senza un Tenco prima di lui. La sua sfortuna, la sua maledizione o forse il suo più grande pregio è stato proprio quello di essere fuori - o meglio, avanti - rispetto al tempo: Tenco era tenebroso e dall'umore riflessivo e profondo quando la sua epoca era inebriata e colorata dalla magia del boom degli anni '60, e offriva una visione sociale del paese che andava ben al di là di questo fenomeno economico, guardando in faccia i pregiudizi e le arretratezze che costringevano l'Italia in un medioevo socio-culturale. Una lettura insidiosa delle cose, troppo diversa da quella altrui, una formula che mai avrebbe potuto regalargli il meritato e dovuto successo come musicista ed interprete. Ma per quanto mi riguarda, anche se questo già basterebbe a dare l'accesso a Luigi Tenco nella vetrina dei più grandi, non è nemmeno questo il suo aspetto più indimenticabile. Tenco è tale per la sua forza emotiva, per la sua capacità di lasciare solchi indelebili nell'animo di un ascoltatore attento ed aperto: l'arma più incisiva del nostro era la sua voce. Calda, intensa e dal timbro non indifferente, capace di dare ai suoi versi semplici un tono poetico che sa d'infinito. Nelle sue canzoni, Tenco scrive di amori, di sofferenze, di favole d'infanzia vissute ad occhi aperti e poi appassite, di rabbia contro il mondo superficiale e dà vita a tutto questo attraverso le sue corde vocali, capaci di assumere toni bassi e alti conservando sempre un gran timbro ed un'indispensabile chiarezza nel pronunciare le parole. Così Tenco riesce a far vivere al pubblico le emozioni che canta come fossero le sue, come se stesse vivendo insieme all'autore ciò di cui gli sta raccontando, come se nessun'altra sensazione provata prima fosse stata vera se paragonata a quella che trasmette l'ascolto delle sue canzoni. Senza dubbio un genio, in ogni aspetto della sua arte. Abile strumentista jazz, grandissimo autore, cantante originale, poeta profondo e pensatore autorevole.

Ma prima di essere tutto questo, la personalità di Luigi Tenco era animata da un moto rivoluzionario, anticonformista e tendente alla libertà. E come ogni spirito libero e rivoluzionario, è stato una fiamma arsa in fretta: ma questo non gli ha impedito di essere la più splendente di tutte.

sabato 25 febbraio 2017

ABIGAIL - KING DIAMOND: IL TRENTESIMO COMPLEANNO DI UN CAPOLAVORO


Esattamente 30 anni fa, dagli studi della Roadrunner, esce uno degli album più significativi della storia dell'heavy metal. Si tratta di Abigail, secondo album del maestro dell'occulto, Mr. King Diamond.

L'album è un concept con tutte le canzoni legate tra loro che narra la storia di una coppia, Jonathan e Miriam, che ereditano una vecchia casa tormentata da una terribile maledizione, scatenatasi a causa dell'omicidio di un antenato di Jonathan, il signor LaFey, ai danni di sua moglie gravida. La bambina, nata morta il 7 Luglio 1777, si chiama Abigail, e il suo spirito tormenterà la giovane coppia precedentemente avvertita da un gruppo di cavalieri davanti alla magione. Vi consiglio vivamente, soprattutto se siete amanti dell'horror, di seguire la storia scritta nei testi dei brani.
L'arrangiamento dei brani è ottimo, caratterizzato da riff accattivanti, assoli maestosi e il tipico canto in falsetto dell'ex Mercyful Fate.
La line up è un vero assetto da guerra, con Mikkey Dee alla batteria e Andy LaRocque e Michael Denner alle chitarre.
Degna di nota è soprattutto l'abilità di King Diamond nel narrare le sue oscure storie, quasi riprendendo quelli che erano i terrificanti racconti di Poe. Inoltre, in tutto l'album, viene ripetuto più volte il numero 9, che secondo lo studio della numerologia ha dei risvolti esoterici. Ciò sta a significare quanto King ci tenga a rendere coinvolgenti i suoi lavori, inserendo una componente narrativa da romanzo gotico.
Circa un anno fa, il Re ha svolto un tour americano suonando tutto Abigail (in maniera eccelsa) lasciandoci però nel mistero di un possibile tour europeo, anche se ha svolto una data all'O2 Arena di Londra lo scorso 21 giugno suonando tutto il medesimo album.

Fidatevi amici, questo è un capolavoro, ed è fatto apposta per chi apprezza metal e racconti grotteschi, perciò il mio consiglio è di recuperare questa pietra miliare.

Un abbraccio. Stay Metal.


lunedì 20 febbraio 2017

REGGAE NATIONAL TICKETS


Quasi tutti conoscete, anche solo per nome, Alborosie, cantante reggae italiano residente in Giamaica che ha riscosso da anni una grande popolarità mondiale: chi di voi non ha mai ballato Kingston town in un qualsiasi dj set dancehall o reggaeton estivo o non ricorda la hit in collaborazione con Caparezza, Legalize the premier? Il siciliano Puppa Albo (all'anagrafe Alberto D'Ascola), bianco in terra nera, temerario che si è trasferito nella patria del reggae, nel territorio dove la concorrenza di questo genere è più elevata, è riuscito a vincere nel 2011 il premio come miglior artista di black music. Un bianco, per l'appunto. Ma prima di essere Alborosie, il nostro ha avuto un'altra identità musicale, operando proprio nella nostra penisola sotto lo pseudonimo di Stena, come cantante di una band tra le più particolari ed originali ma anche snobbate e sconosciute della nostra storia musicale: i Reggae National Tickets.

La star mondiale che ha ora un'immagine da gangster con lunghissimi dreadlocks, anelli d'oro, tatuaggi ed un timbro vocale ragga basso e raschiato era un tempo un ragazzino gracile dai capelli ricci spettinati che non disdegnava gli acuti, scriveva testi in italiano o addirittura in dialetto bergamasco (i Reggae National Tickets erano di stanza proprio a Bergamo) ed era il frontman di un atipico gruppo reggae che provava a vivere il sogno rasta anche qui in Italia. A soli 19 anni arriva il primo album, Squali, di certo il miglior episodio della breve storia del gruppo: in cinque anni ed altrettanti dischi (1996-2000), i Reggae National Tickets sono passati da locali minuscoli della loro provincia alla Giamaica, dalle autoproduzioni alle collaborazioni con artisti del calibro di Aston "Family Man" Barrett (storico bassista di Bob Marley & the Wailers!), sino ad essere ambasciatori italiani del Reggae Sunsplash, il più grande festival mondiale di musica reggae. Ciononostante, a breve arrivò lo scioglimento, il cambio di muta di Stena in Alborosie e la sua carriera solista nella patria del reggae nero. Ma perché è importante conoscere i Reggae National Tickets? Per la loro levatura artistica. Partiamo dal sound: vintage e roots al punto giusto secondo la miglior tradizione del reggae suonato, ma allo stesso tempo ricco di contaminazioni dub, soul, ragga, e toni elettronici dal sapore esotico ed ipnotizzante. Una perla unica, insomma, un vanto per la musica alternativa italiana. Ed i testi? Stena propone una visione rinnovata della spiritualità lirica della musica reggae, raccontando i suoi sogni, le sue visioni, la sua città, il suo piccolo grande mondo. La sua ambizione non si limitava a voler fotografare uno spaccato sociale per trarne messaggi universali inerenti alla filosofia rasta proponendone una versione originale e rinnovata, ma arrivava al creare parole nuove. Con slang e fusioni di termini diversi, Stena (o Alborosie che dir si voglia) cercava di plasmare una sua grammatica testuale, rifacendosi al venerato Peter Tosh (guru del reggae contemporaneo a Bob Marley).

I Reggae National Tickets sono un concentrato di spiritualità, atmosfere esotiche e sognanti, e rivalsa sociale. Tentano di gettare le basi di un nuovo reggae italiano, dando un'identità ben precisa a questo genere così poco diffuso in Italia (allora più di oggi). Squali, il loro esordio, resta uno dei dischi reggae più belli in assoluto, capace di emozionare l'ascoltatore, regalargli musiche originali e contaminate e trasmettere un messaggio nuovo e sincero. Cosa poteva frenare questo gruppo dall'entrare nell'olimpo della musica? La sua terra. L'Italia è capace di sfornare artisti di questo calibro e di ignorarli, condannandoli all'oblio e all'emigrazione e di accettarne solo la versione più commerciale ed annacquata. Che questo gruppo sia praticamente sconosciuto e che i suoi dischi siano introvabili è più di un'ingiustizia bella e buona: è uno spregiudicato atto criminale.


sabato 18 febbraio 2017

LO SCISMA DEI GRAMMY AWARDS


Inizialmente non volevo parlare della questione Metallica-Lady Gaga, poi ho deciso di voler dire la mia sulla questione, visto che molti si stanno scannando tra di loro. 
Questa collaborazione ha infastidito molti fan storici dei Four Horsemen, e non nascondo che anche il sottoscritto ha avuto delle incertezze.
Ragazzi, ormai la nave è salpata da molto tempo, l'era dei Metallica leggendari è finita da parecchio (purtroppo), ora abbiamo davanti delle persone serie che vogliono fare musica seria, che ormai sono mentalmente cresciute e che hanno preso coscienza di come va il mondo.
Tutto sommato, a parte il problema tecnico con il microfono di James, la performance con la diva pop non è andata malissimo, e fortunatamente non hanno suonato pezzi vecchi, altrimenti sarebbero volati schiaffi.
Non possiamo nascondere che i 'tallica si siano ammorbiditi con il passare del tempo, con Load che ha segnato l'inizio della strana svolta che si è prolungata per diversi anni, fino ad arrivare a Death Magnetic, riappesantendo i toni della band e ricevendo pareri secondo cui sarebbero tornati al thrash delle origini (ho i miei dubbi). 

Perciò mi chiedo, ha senso imbestialirsi tanto su una questione del genere? Questa è la piega che hanno preso, perciò, e mi riferisco ai tradizionalisti come me, non si può far altro che elogiarli per i lavori passati, quelli che ci hanno fatto scuotere la testa con le corna rivolte verso il cielo.
Ovviamente, ciò che ho scritto è frutto della mia opinione personale, che può essere condivisa o meno. Ad ogni modo mi piacerebbe sentire altri pareri riguardo la questione, un dialogo pacifico fà sempre bene in questi casi. 

Detto questo, sono felice di aver condiviso questo mio pensiero con voi, e ricordate, il metal è unione.

Un abbraccio.


lunedì 13 febbraio 2017

OCCIDENTALI'S KARMA



L'ultimo volto del blasonato "Festival della canzone(tta) italiana" è elettropop: Francesco Gabbani ha vinto Sanremo, e le sue armi sono state un titolo catchy e vagamente indie, una sfliza di maglioncini colorati al posto dell'abito, ed una scimmia nuda ballerina al suo fianco (per l'Ariston una rivoluzione artistica e trasgressiva impareggiabile!). Gabbani ha proposto un approccio inedito per il festival ed ha avuto la fortuna di centrare l'obiettivo, rubacchiando e strizzando l'occhio a quella fetta del panorama indie italiano che è più mainstream che altro (principalmente nel testo, che ho trovato di una vuotezza assurda): anglofonie, riferimenti al mondo del web, un video frizzante, un abbigliamento estroso, cose così insomma.

Una proposta del genere non può che lasciarmi perlopiù indifferente: sono cose già viste insomma e neanche poi così affascinanti, ma credo che per il pubblico di Sanremo, o più in generale per la massa italiana che guarda tv (e che dunque non comprende solo persone giovani), Occidentali's karma debba sembrare un po' come l'avanguardia, l'ultima novità, il nuovo approccio giovanile della canzone pop italiana. Bisogna essere onesti, sicuramente è stata una mossa intelligente e furba, forse una necessità vera e propria dopo la vittoria de Il volo (al cui confronto è giovane perfino Al Bano), ma d'altronde non rappresenta nulla. Nulla di nuovo, nulla di autentico: non è Gabbani che rappresenta la novità, né quella giovine Italia composta dalla schiera di rocker o più in genere di ragazzi legati alla musica come arte (anche se questa schiera in realtà non credo sia rappresentata da nessuno ora come ora). Può essere un danno, un qualcosa di fuorviante? Forse, ma ne dubito, dato che c'è ancora da vedere se la fama di Gabbani andrà oltre il breve periodo della vittoria post-festival.
O magari bisogna essere felici e vedere Occidentali's karma come una vera ventata di rinnovamento nella musica leggera italiana, sperare che sia l'inizio di una certa apertura verso realtà più nuove grazie alla sua simpatia e leggerezza? Macché. La canzone avrà una cornice diversa dalle precedenti vincitrici, ma la sostanza è la stessa. Ballabile in ogni suo angolo più recondito, ritornello sparato cinque, dieci o non so quante volte in meno di 4 minuti di canzone, la solita ricetta da tormentone estivo, niente di più. Niente.

Sanremo continua a celebrare la vacuità, il prodotto vendibile, la stasi musicale.
Nemmeno l'ombra di un minimo d'evoluzione, da cinquant'anni forse: il pubblico medio del nostro paese, così come quest'ingombrante e sempiterno show televisivo dall'immane durata di cinque giorni rappresenta un'ostacolo, un freno, un vero e proprio giogo imposto sulla crescita artistica e musicale dell'Italia stessa, un impedimento per la credibilità e l'esportabilità della nostra scena suonata. 
Quando c'è di mezzo Sanremo (o qualsiasi talent) si parla di tv, soldi, audience e apparenza, di certo non di musica: è questo che purtroppo non è ancora chiaro per tutti.

sabato 11 febbraio 2017

DEATHGASM: UN FILM BELLO PER PERSONE BRUTTE

Era una mite sera di estate, giacevo sul divano in balia del caldo atroce. Per placare la noia iniziai a sfogliare il catalogo di Netflix alla ricerca di qualcosa di interessante da vedere. Ad un certo punto mi imbatto in uno strano film, un film trash per la precisione. Mi basta guardare i primi due minuti per capire che il medesimo film è un capolavoro del suo genere. 
Stoppo tutto, chiamo i miei compari a raccolta ed iniziamo la visione di Deathgasm.
Il film narra le vicende di Brodie, metallaro un po' sfigatello che viene schernito dai suoi compagni per via del suo aspetto. Come ogni commedia americana che si rispetti (anche se il film è neozelandese), il nostro Brodie si innamora della ragazza più bella della scuola (nonché fidanzata con il solito bulletto stronzo).
La vita di Brodie cambia del tutto quando incontra, in un negozio di dischi, un altro metallaro, Zakk. I due fanno amicizia e, visto che uno suona la chitarra, e l'altro il basso, decidono di mettere su un gruppo assieme ad altri due ragazzi (intanto Brodie inizia a cuccare con la biondina di cui si è invaghito). 
Accade l'inimmaginabile quando, intrufolatisi in casa di un loro idolo musicale, Zakk e Bro trovano uno spartito che suoneranno al contrario spalancando le porte dell'inferno.
E' subito apocalisse. La gente impazzisce ed inizia a mutare in demoni putrescenti che attaccano tutto e tutti. Ovviamente gli effetti speciali sono fatti male, i costumi sono orripilanti ma il bello è che tutto ciò non da fastidio. Forse è proprio questo che rende speciale questo film, la sua ignoranza.
La colonna sonora è formata da pezzi metal di giovani gruppi, e funziona ugualmente.
Naturalmente non vi rivelo il finale perché voglio che ve lo godiate a pieno, e inoltre tengo a precisare che il film è pieno di riferimenti del mondo heavy metal, quindi è più godibile per chi ascolta il genere, anche può tranquillamente guardarlo una persona che non ci ha a che fare. 
Detto questo, consiglio vivamente questo piccolo capolavoro dell'ignoranza, sia per chi ama i trash movie, sia per chi non ha un cazzo da fare e vuole farsi qualche risata. 
Un abbraccio. Stay Ignorant.


mercoledì 8 febbraio 2017

RECENSIONE: "L'AMORE E LA VIOLENZA" DEI BAUSTELLE



Dopo quattro anni, i Baustelle sono tornati con il loro settimo album in studio L'amore e la violenza, pubblicato il 13 gennaio. Il trio composto da Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini ha definito questo lavoro come "oscenamente pop", laddove è lecito dire che la band stessa è sempre stata, in fin dei conti, pop. Dopo le suite orchestrali del precedente disco Fantasma (2013), il gruppo di Montepulciano ha scelto di rinfrescare le proprie sonorità conferendogli una veste quasi disco: elettronica massiccia, testi a metà tra l'accattivante e il poetico, ritornelli catchy e melodie spregiudicate sono gli ingredienti del pop d'autore che ci viene mostrato nelle 12 tracce. L'amore e la violenza è un album che nel complesso funziona, e personalmente è quello che preferisco tra la discografia della band dopo il folgorante esordio di Sussidiario illustrato della giovinezza (di cui posso sinceramente definirmi fan): è una conferma del bello stile dei Baustelle, un gruppo che nonostante i suoi cali di qualità rimane affascinante ed importante per la nostra scena musicale conservando la sua perizia e la sua bravura.

Il disco si apre con la breve intro strumentale di Love, interamente fatta di mellotron a imitazione di un'ouverture orchestrale; segue Il vangelo di Giovanni, che sembra una canzone di Battiato e da cui emerge un importante aspetto delle liriche dell'album, che accostano riferimenti all'attualità (la Siria, lo jihadismo) a momenti di introspezione poetica, con l'onnipresente ritornello easy-listening: analogo il discorso per Betty, la quarta traccia. Amanda Lear (già singolo apripista del disco) è un pop elettronico con massiccio uso di sintetizzatori, una love song che sfrutta nel ritornello il nome della famosa attrice (e non solo) per questioni di metrica e di orecchiabilità: forse una furbata, ma pur sempre ricca di stile e qualità musicale. Sono evidenti varie ispirazioni all'elettronica più prettamente "classica" (forse agli stessi Kraftwerk): basti pensare alla coda di Basso e batteria, ricca di voci robotiche e all'algida introduzione strumentale di Lepidoptera. Il lato più rock della band emerge nel riff di chitarra elettrica di Eurofestival, mentre Ragazzina è più marcatamente cantautorale. Sono autentici gioielli pop La musica sinfonica (in cui Rachele ci regala una bellissima performance vocale) e La vita. E' proprio da questi due pezzi che fuoriesce al meglio l'aspetto che più ho apprezzato dell'intero album, ossia lo spirito che si cela dietro ai testi: una caratteristica forse alimentata dalla recente paternità di Bianconi (l'ultima traccia è dedicata alla sua bambina di tre anni). Ciò che le liriche trasmettono è un senso di rinnovato amore per la vita ("Io non sono mai stato così tanto/schiavo del mondo e attaccato alla vita" recita Lepitoptera), un invito a prenderla per quello che è e a vivere il presente con serenità: la fusione tra questo spessore emotivo e la sfilza di melodie estremamente catchy è la ricetta che ha conquistato il mio ascolto e mi ha fatto apprezzare quest'ultimo lavoro dei Baustelle.

Possiamo dunque affermare due cose: il mio rinnovato amore per Francesco Bianconi come autore di canzoni e la mia futura stesura di un live report sulla data teatrale dei Baustelle al Petruzzelli di Bari ad aprile.


lunedì 6 febbraio 2017

LA FINE DI UNA STORIA CHE HA CAMBIATO LE SORTI DELLA MUSICA



Ebbene sì. Anche la carriera dei Black Sabbath è finita. Ozzy, Tony e Geezer hanno ufficialmente dato il loro addio nel concerto finale tenutosi a Birmingham (luogo di nascita della band) sotto le note dell'inconfondibile Paranoid.
Con loro va via un pezzo di storia, una storia fatta di sesso, droga e heavy metal elettrizzante, lasciandosi alle spalle oltre 100 milioni di dischi venduti e la presenza nella Rock and Roll Hall of Fame.

L'eredità musicale lasciata dai Sabbath è davvero notevole: difatti, molte band di successo probabilmente non esisterebbero senza questa profonda ispirazione.
Impressionante anche la longevità del servizio, quasi cinquant'anni di carriera, ovviamente percossa da alti e bassi che hanno cambiato il seguito del gruppo, vantando anche la presenza in formazione del leggendario Ronnie James Dio.
L'uscita dalle scene dei Black Sabbath è stata decisa soprattutto dal chitarrista e fondatore Tony Iommi per problemi di salute avuti recentemente (ha affrontato un lunga battaglia con il cancro), ma non solo. Un po' tutti erano stanchi di affrontare lunghi tour che li rendevano stanchi, data anche l'età avanzata. La cosa non sembra però toccare lo storico cantante Ozzy Osbourne, che ha dichiarato di voler tornare sulle scene da solista e probabilmente con un nuovo album.

L'unica cosa che possiamo dir loro è un semplice grazie. Grazie per ciò che avete creato, per ciò che ci avete insegnato e che grazie a voi insegneremo alle generazioni future.