lunedì 30 gennaio 2017

LIVE REPORT: L'OFFICINA DELLA CAMOMILLA, LOCOMOTIV CLUB BOLOGNA, 14/01/2017




L'officina della camomilla, band dal percorso controverso seppur cominciato da appena quattro anni (discograficamente parlando), ha concluso la sua ultima tournée al Locomotiv club di Bologna il 14 gennaio dopo quasi un anno di concerti. Si tratta del Palazzina liberty tour, volto a promuovere l'omonimo album del gruppo, il quarto ed ultimo lavoro uscito a marzo 2016, il primo che io sia riuscito ad apprezzare. Dopo i tre dischi targati Senontipiacefalostesso (Uno, Due, B-sides), caratterizzati da un sound alquanto sterile e tendente al pop e da testi verbosi e di difficile comprensione, con Palazzina liberty L'officina ha cambiato gran parte della line-up e del suo stile, dando vita a un sound più maturo e soprattutto più interessante ed anteponendolo ai testi, i quali sono ora fatti di pochi versi ermetici e significativi.

Il mio parere su questo concerto è ahimè (?) influenzato dalla diversificata considerazione che ho dei brani della band: ossia, ho apprezzato l'esibizione nel complesso, ma molto più durante l'esecuzione dei pezzi di Palazzina liberty e molto meno quando L'officina ha suonato i suoi "classici" risalenti ai dischi precedenti. L'inizio del live ha avuto un impatto scenico e sonoro non indifferente: i musicisti sono entrati in scena un per volta, cominciando a suonare il proprio strumento e creando man mano l'ossatura della title-track Palazzina liberty. Subito dopo, un'accattivante esecuzione della bellissima Penelope, momento in cui il violinista della band ha espresso tutto il suo talento. La scaletta del concerto è stata (purtroppo per me) incentrata per la maggior parte sulle canzoni risalenti alla trilogia Senontipiacefalostesso, con qualcuna proveniente da Palazzina liberty sparsa per l'esibizione (Ex-darsena è stato un momento di catarsi pura); si nota che la band suona sciolta ed affiatata e che ogni membro fa la sua parte, ma l'attrattiva principale della serata è stata costituita (oltre che dalla bravura del polistrumentista Fausto Cigarini) dal cantante, chitarrista, autore e compositore Francesco De Leo.
Una figura sicuramente interessante, affermatasi da pochi anni nel panorama indie italiano, e dall'approccio creativo e scenico particolare: per tutto il concerto, De Leo ha praticamente ignorato il pubblico e più in generale il mondo esterno, concentrandosi sulla sua chitarra e cantando con un trasporto abbastanza intenso. Vedere questo giovane che sembra un ragazzino dall'aspetto semplice e un po' trasandato, che ha a malapena mostrato il suo viso sul palco nascondendolo sotto il cappuccio ed il suo ciuffo, bisbigliare al microfono con la sua voce incerta e "accarezzare" la sua chitarra, mi ha rapito per quasi tutto il tempo: è senza dubbio lui l'anima della band, e le conferisce una marcia in più. A mio parere è un autore e musicista talentuoso e peculiare che può dare molto alla scena del nostro paese e che vale la pena seguire lungo la sua carriera a venire: la sua vena compositiva è sicuramente fertile, sia per le liriche che per le musiche. Ma per lui non dev'essere semplice coniugare le sue ispirazioni ed ambizioni col resto della band e soprattutto col pubblico: è stato per me evidente che De Leo tende verso una direzione artistica molto personale e che è stanco dell'immaginario legato al nome de L'officina costituitosi con le sue prime uscite discografiche e per il quale la maggior parte della gente l'ascolta e la segue tuttora. L'ultima canzone in scaletta, La tua ragazza non ascolta i Beat Happening (divenuta celebre e acclamata dai fan per il suo ritornello che recita Siamo pieni di droga), è stata eseguita a stento da De Leo, che ne ha saltato un ritornello e ha lasciato stancamente la chitarra per terra poco prima che finisse; dopodiché, ha smanettato col suo amplificatore fino a fargli ripetere in loop un suono a metà tra il fastidioso e l'ipnotico, ed è sparito dalla scena. 

Detto questo, resto molto curioso di sapere dove andrà a parare in futuro la strada di Francesco De Leo e spero che da qui in poi i dischi de L'officina siano sempre più liberty.
Scusate il tedio.


Da sinistra: Fausto Cigarini (violino e chitarra), Francesco De Leo (voce e chitarra), Simone Sproccati (chitarra), Roberto "Red" Redondi (tastiere), Loris Giroletti (batteria), Marco "Morco" Amadio (basso)

lunedì 23 gennaio 2017

LIVE REPORT: DIAFRAMMA, LOCOMOTIV CLUB BOLOGNA, 13/01/2017




E' ormai da ben più di un anno che i Diaframma, padrini della new wave fiorentina negli anni '80, ripropongono integralmente dal vivo il loro album d'esordo Siberia, pietra miliare del rock italiano. Federico Fiumani, fondatore, autore, compositore, chitarrista e dagli anni '90 anche cantante, annovera nella formazione della band da ormai quattro anni in maniera fissa Edoardo Daidone alla chitarra, Luca Cantasano al basso e Lorenzo Moretto alla batteria. Anche per questo Siberia Reloaded 2016 Tour non manca la consueta tappa di gennaio al Locomotiv Club di Bologna, tappa a cui ho avuto la fortuna di assistere per due volte, entrambe in prima fila, a distanza di un braccio dal grande Federico. E niente, vi parlo di questa seconda volta, il 13 gennaio di quest'anno.

Come tutti i live di questa tournée, i Diaframma sono partiti suonando integralmente Siberia nella sua nuova versione riarrangiata: le differenze sostanziali sono la presenza di due chitarre invece che di una e la voce di Fiumani al posto di quella dello storico cantante degli anni '80 Miro Sassolini. Questi due elementi possono far impallidire molti fan sfegatati dell'LP, ma alla mia percezione non hanno intaccato il potere e la bellezza degli otto brani che compongono il suddetto disco: anche se a trent'anni di distanza, Siberia conserva un impatto live non indifferente, a dimostrare che certe canzoni sono belle e basta, hanno una marcia in più rispetto ad altre. I quattro musicisti suonano ormai questi pezzi con estrema scioltezza, aggiungendo qualcosa di nuovo alla loro veste originaria senza intaccarne il mood (eccezion fatta forse per Amsterdam, che da anni ormai è lontano dalla versione dark originale ed è più simile ad un rock anthem): in particolare, Neogrigio e Desiderio del nulla funzionano alla perfezione, come anche Specchi d'acqua, nonostante l'inedita presenza di due intermezzi strumentali dal tono vagamente psichedelico. Fiumani è apparso molto in forma, interagendo più volte col pubblico e sbizzarrendosi con le sue classiche pose e coi suoi caratteristici salti; indimenticabile anche se magari non del tutto convincete il suo intermezzo solo chitarra e voce in cui ha eseguito una spiazzante cover di Albachiara per intrattenere gli spettatori durante una pausa forzata a causa di un problema tecnico del bassista. Dopo l'esecuzione di Siberia, sessione in cui i quattro musicisti hanno dato prova del loro affiatamento omaggiando quest'opera intramontabile, i Diaframma hanno eseguito uno dei loro cavalli di battaglia: Gennaio, pezzo che ha scatenato il pubblico regalando al sottoscritto un senso di epicità non indifferente. Dopodiché, il concerto è stato incentrato tutto su Fiumani: la band ha eseguito molti pezzi storici cantanti da lui degli anni '90 e 2000: da Diamante grezzo, L'odore delle rose, L'amore segue i passi di un cane vagabondo a Francesca, Madre superiora e tanti altri. Non sono mancati altri pezzi degli anni '80 dell'era Sassolini come Adoro guardarti e Libra.

Che dire, il nome dei Diaframma attraversa i decenni ma sembra non invecchiare mai, restando un punto di riferimento insostituibile per la musica alternativa italiana, paradigma del gruppo che supera i suoi momenti di difficoltà economiche e artistiche senza sporcarsi le mani e senza cadere nella vacuità. Federico Fiumani in particolare (volto ed incarnazione dei Diaframma) è senza dubbio una leggenda vivente della musica nostrana: ci dimostra che il rock può essere suonato in una certa maniera anche in Italia e mantiene sul palco un appeal invidiabile. Sarà pur vero che non scrive inediti da quattro anni e non ha la minima voglia di farlo, ma resta un'autorità ed una fonte d'ispirazione, con la sua aria da giovane ragazzo Joy Division che cela un'esperienza trentennale ed una passione sconfinata per ciò che fa.
Che il gelo della Siberia possa continuare a farci rabbrividire per molti anni ancora. Amen.


Da sinistra: Federico Fiumani (voce e chitarra), Luca Cantasano (basso), Lorenzo Moretto (batteria), Edoardo Daidone (chitarra)

giovedì 19 gennaio 2017

DEATH METAL: UNA TRANQUILLA SERATA A NEW YORK




New York City, inizio degli anni '90, il thrash metal, secondo alcuni gruppi della scena, stava iniziando a dare segni di ristagno e si stava pian piano evolvendo ad una forma più aggressiva, più oscura. Ecco come inizia a prendere piede un genere che in seguito inizierà a venir chiamato Death Metal. Nella zona newyorkese iniziavano a prendere piede band come Suffocation, Immolation Demolition Hammer, Mortician e Incantation. Ecco, quest'ultimo è legato ad un curioso accadimento che non si può non raccontare.

Era il primo concerto ufficiale degli Incantation, dovevano suonare in un locale a Manhattan chiamato 308 Bar. All'epoca la zona attorno Times Square era molto squallida e violenta, piena di sexy shop e barboni. Il locale in questione era piccolo e lungo e nello spiazzale vuoto all'esterno c'era un viale utilizzato come dimora dai senzatetto: fin qui tutto normale. Il concerto stava andando abbastanza bene, gli Incantation stavano per finire la loro esibizione e la serata stava volgendo al termine, quando ad un certo punto scoppia una grande rissa fuori dal locale, prima tra barboni e barboni, poi tra barboni e spettatori del concerto, insomma, una mega-zuffa. John McEntee degli Incantation aveva la macchina parcheggiata proprio al di fuori del locale e, qualcuno, ebbe la gentile idea di fracassare la testa di un barbone proprio sul parabrezza della macchina di John, frantumandoglielo. 
Il povero McEntee dovette tornare a casa con l'auto coperta di sangue di barbone e, cito testualmente, si chiese: "Sarà sangue portatore di epatite C o cosa?!". 
Era stata una serata particolarmente movimentata, e infatti lui subito dopo tornò a casa, ma il resto dello sciagurato gruppo fu inseguito da gente che partecipava ad una parata gay.

Il metal è pieno di questi aneddoti esilaranti che, in un modo o nell'altro, riescono sempre a strappare un sorriso sia a chi li racconta che a chi li ascolta. 
Sono del parere che questo tipo di storie arricchiscono positivamente il bagaglio della propria vita (a parte l'epatite C) e vanno rimembrate con chi le si è vissute, del tipo "cazzo ti ricordi di quando hanno spaccato il parabrezza della mia auto con la testa di un barbone?" o "quando ci siamo scolati quelle birre a testa in giù?". Sì, insomma, sono belle esperienze, perciò non limitatevi a vivere la vostra vita, ma arricchitela facendo cazzate, perché fare cazzate è stimolante!  

lunedì 9 gennaio 2017

COLONNE SONORE: "THE YOUNG POPE", LA NUOVA SERIE DI SORRENTINO





Paolo Sorrentino, probabilmente il più noto regista italiano del momento (premiato anche con un Oscar nel 2014), si sa, cura sempre con attenzione le colonne sonore delle sue opere ed ha certamente una passione non indifferente per la musica. Per il suo ultimo lavoro, la serie televisiva trasmessa su Sky The young pope, ha selezionato brani non originali attingendo dalle fonti più disparate, creando una playlist molto variegata ed un commento musicale indispensabile per le immagini viste sullo schermo. Un dato di fatto intuibile già solo dal trailer della serie, dove si sente "Beat the clock", suggestiva traccia elettronica del compositore Max Cameron, adattissima ad alimentare il clima di attesa precedente alla trasmissione degli episodi e presente durante gli stessi. Sulla stessa scia elettronica è "Levo", brano del tedesco Recondite, un tema musicale portante e ricorrente nella serie. Ciò che sorprende è che Sorrentino ha preso le musiche dei mondi più differenti: si sentono Devlin ed Ed Sheeran nell'efficace e provocatoria sigla, o pietre miliari del rock come i Jefferson Airplane, artisti italiani come Venditti, Nada, addirittura Peppino di Capri, nei vari episodi; immancabili in un'ambientazione religiosa la classicissima "Hallelujah" di Jeff Buckley e la sempiterna "Ave Maria" di Schubert. Un gioiello è "I can't escape myself" del fondamentale ma snobbatissimo gruppo dark britannico The Sound, canzone perfetta per commentare la difficoltà del papa protagonista ad evitare i propri fantasmi psicologici; da notare anche il post-rock degli americani Labradford.




Nel calderone della soundtrack di The young pope troviamo dunque pezzi dei compositori e delle band più underground ma anche hit commerciali come "Sexy and I know it" degli LMFAO. Questo testimonia l'ecletticità di Sorrentino non solo come cineasta, ma anche come ascoltatore di musica, e soprattutto la sua capacità di mescolare cultura alta e fonti pop nel suo lavoro. E poi, oltre a vantare una colonna sonora particolarissima ed originale, la serie in sé è molto figa. Innovativa e affascinante, ben scritta e ben diretta, e con un cast ottimo su cui spicca lo stesso Pio XIII, interpretato dall'inglese Jude Law, che mette qui in mostra una forma smagliante. E dunque, niente, la serie mi ha appassionato parecchio, la colonna sonora è qualcosa di cui vale la pena parlare, e ho avuto la scusa per farne un articolo. Consiglio di guardarla, soprattutto se si cerca una visione/ascolto diversa dal solito: le tematiche ed i tempi della serie sono originalissimi. Qui sotto un paio di tracce della colonna sonora:

sabato 7 gennaio 2017

BRÜTAL LEGEND: UN VIAGGIO NELLA VALLE DEL METAL

Il mondo del gameing è un ambiente molto vasto, pieno di titoli appassionanti che catapultano il giocatore in avventure formidabili e mozzafiato.
Spesso, per gioia di molti, musica e videogames vengono uniti, ed il risultato è un'esperienza estremamente coinvolgente per chi ama entrambe le cose. 
Ma un giorno, un gruppo di sviluppatori decide di partorire un capolavoro che ha come punto centrale il mondo del metal e le leggende a cui è legato.

Brütal Legend è per definizione il gioco di ogni metallaro e narra le vicende di Eddie Riggs (Jack Black), roadie di una band da lui odiata. Una sera, durante un concerto della suddetta band, Eddie cade e viene schiacciato da un'impalcatura, causando la sua morte. Del sangue però cade sulla sua cintura caratterizzata dal volto di una bestia: l'Ormagoden (è palesemente lo Snaggletooth dei Motorhead).
D'un tratto il protagonista si ritrova catapultato indietro nel tempo, quando nel mondo vigevano le leggi del Metal. Da qui parte il viaggio di Eddie, che dovrà liberare il popolo degli Headbanger dalla schiavitù dei demoni che tengono sotto assedio il territorio, brandendo un'ascia da guerra e una chitarra spara fulmini di nome Clementine.
A favorire gli spostamenti nella mappa c'è il bolide di Eddie, un veicolo infernale e personalizzabile, munito di radio per riprodurre forse la miglior colonna sonora mai vista in un videogioco, che vanta pezzi di Megadeth, Motorhead, Judas Priest, Black Sabbath, Motley Crue e molti altri.
Alcune leggende del metal hanno prestato sembianze e doppiaggio ai personaggi del gioco, come Lemmy Kilmister (detto Kill Master), Rob Halford (detto Il Barone) e Ozzy Osbourne (nelle veci di Guardiano del Metal).
Nel vasto mondo di gioco sono presenti diverse tablature che forniranno al protagonista potenti abilità come sciogliere facce a suon di chitarra o far cadere un dirigibile in fiamme facendo piazza pulita... una goduria.
Non mancano fasi strategiche in cui bisognerà dirigere truppe di motocicliste e Headbanger, distruggere il palco avversario e costruire bancarelle di merchandising per potenziare il proprio.

Brutal Legend è un titolo da recuperare assolutamente se siete amanti del metallo rovente, perché è qualcosa di indescrivibilmente epico, esilarante, heavy e volgare (cosa si vuole di più), quindi vedete di provvedere, non importa come, ma fatelo!